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I climber e il pericolo della “Sindrome da imbrago”

rappelBERGAMO — Un collasso che sopraggiunge dopo alcuni minuti di sospensione ad una corda. E può anche provocare la morte. Ecco cos’è la sindrome da sospensione inerte in imbrago, meglio nota come “Harness Hamg Syndrome o Suspension Trauma”. Ho sentito parlare per la prima volta di questa rara e singolare patologia dall’amico e collega medico francese Xavier Ledoux in occasione di una delle riunioni della Commissione Medica della CISA-IKAR, un organismo internazionale che si occupa di medicina di urgenza in montagna. In realtà si era occupato di questa patologia quando faceva il medico d’urgenza, nel 1988, in Alta Savoia.

In passato sono stati segnalati degli incidenti che hanno coinvolto soggetti forti e sani, morti improvvisamente dopo essere rimasti appesi per qualche tempo ad una corda, assicurati da un’imbragatura per arrampicata, senza alcuna causa apparente di morte all’autopsia.

La sindrome in oggetto è una situazione che si viene a creare quando un corpo rimane appeso senza movimento per un certo periodo di tempo. Questa rara e singolare sindrome può colpire lavoratori dell’industria che, dotati di un’imbragatura, sono costretti a lavorare appesi ad una corda, oppure speleologi, alpinisti e appassionati di parapendio, vittime di incidenti vari. La causa scatenante è il restare appesi in modo passivo ad una corda (passive hanging); ciò accade quando le gambe non hanno tono muscolare, sono in uno stato di rilassamento e non esercitano alcuna pressione, non permettendo al sangue venoso di ritornare dalla periferia al cuore.

In condizioni sperimentali i soggetti tendono a collassare dopo 15-30 minuti di sospensione passiva ad una corda. Talvolta bastano soltanto sei minuti per collassare. Sebbene l’essere sospesi in un’imbragatura full body sia meglio rispetto ad un’imbragatura che interessi il solo torace o la vita, non si può comunque evitare la sindrome da sospensione.
La causa più probabile del collasso è l’accumulo di sangue nelle vene degli arti inferiori, ciò che accade quando i muscoli delle gambe non si contraggono e non sono in grado di fare arrivare il sangue al cuore.

La circolazione corporea è in grado di compensare il ridotto ritorno di sangue al cuore solo per poco tempo, e,poi, improvvisamente, il cuore si trova a non aver più sangue da pompare verso la periferia, e va incontro ad uno stato di asistolia, ovvero un arresto cardiaco. Fattori di rischio possono contribuire quali la disidratazione, l’esposizione al freddo, l’immersione in acqua fredda o lo sfinimento.

Un periodo lungo di sospensione può determinare un accumulo di tossine nel sangue che si trova nelle gambe. Una improvvisa liberazione della vittima dalla posizione di sospensione o un cambio di postura possono provocare l’afflusso del sangue, senza alcun controllo, agli organi interni; l’effetto è simile a quello provocato da una “sindrome da schiacciamento”, con alterazioni del ritmo cardiaco fino all’arresto cardiaco e grave danno renale.

Nella sindrome da sospensione sopraggiungono in fretta la perdita di conoscenza e l’arresto respiratorio. Possono precedere la fase di collasso un periodo di debolezza e di nausea, con una sensazione di malattia imminente. La ridotta perfusione sanguigna a livello degli arti determina un incremento di tossine prodotte dai tessuti ed anche un danno muscolare con rilascio di proteine che vanno a danneggiare in modo grave i reni.

Che fare per evitarla? Occorre la prevenzione, che può evitare tutte le conseguenze della sindrome. E’ utile cercare di pedalare immaginando di trovarsi seduti su di una immaginaria bicicletta, mantenendo un certo movimento che dovrebbe evitare lo svenimento. La sindrome può colpire anche gli uomini del soccorso, appesi ad una corda tramite un’imbragatura; ecco la necessità di ricorrere a dei sistemi che permettano alle gambe di muoversi, garantendo ai vari muscoli un certo movimento, ed evitando di restare appesi all’imbragatura immobili per diversi fatali minuti.

Tutti gli incidenti con un soggetto che si trova in stato di incoscienza, appeso ad una corda, vanno trattati con grande cautela, trattandosi di situazioni di pericolo di vita. Non si deve assolutamente porre la vittima a terra, ma, possibilmente in una posizione seduta; anche i soggetti che presentano sintomi più lievi vanno trattati con estrema cautela, evitando di farli camminare o di lasciarli in piedi, lasciandoli in posizione seduta per almeno trenta minuti. Utile la somministrazione di ossigeno, infondendo liquidi tramite un accesso venoso. Respirazione e circolazione devono essere monitorati. Ed è necessaria l’ospedalizzazione anche in presenza di sintomi minori.

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