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Sette vie nuove sulle Alpi centrali, Luca Maspes: quella malattia del desiderio di novità

Luca Maspes
Luca Maspes (Photo www.masinoclimbing.blogspot.com)

SONDRIO — Sette vie nuove su diverse e poco frequentate pareti delle Alpi centrali, scovate in peregrinazioni alla ricerca categorica della novità, in un alpinismo che non ha “fretta” di arrivare. Le ha aperte tra agosto e ottobre Luca Maspes insieme ad alcuni amici nel gruppo del Disgrazia e sulle pareti rocciose della zona del Sasso Nero, nel gruppo del Bernina. Si chiamano “Davide contro Golia”, “American Bunkan”, “Il futuro siamo noi”, “via del 149°”, “Fora de bal”, “Castroman” e “Deja vu”. Come nascono queste vie? Qual è il fascino di luoghi lontani dalle “masse”? Lo abbiamo chiesto direttamente a Rampikino, affetto dall’inguaribile “malattia” del desiderio di novità.

Come nasce l’idea di aprire vie come queste?
Sicuramente con l’entusiasmo: prima di immaginare, poi di andare a vedere ed infine di scalare dove ancora non è stato nessuno o quasi. A volte anche in controtendenza, dimenticando le mode e le belle vie da ripetere ma assecondando invece sfizi personali, per luoghi relativamente vicini a casa ma per me ancora sconosciuti. E’ una malattia il desiderio del “nuovo”, non sono mai guarito, sia quando scopro un sasso di granito alto 3 metri sia quando ammiro una montagna alta.

Sulle Alpi centrali c’è ancora tanto spazio per un alpinismo più esplorativo?
Ho sempre pensato di più che nelle zone battute dell’Est e dell’Ovest alpino. Soprattutto in inverno qui c’è abbondante terreno per tante fantasie alpinistiche. Se sai guardare bene scopri possibilità di “ravanate” invernali stile Scozia o Monti Tatra, salite tecniche su ghiaccio e misto con linee improvvise e “a tempo” che il freddo riesce a consolidare solo per pochi giorni all’anno. La Est del Morteratsch di due stagioni fa e la via dello scorso febbraio sulla Punta Sant’Anna sono per me due ricordi di scalate da prendere al volo, poi le linee dove sei salito spariscono e con le alte temperature ritornano “insalibili” o pericolose. Anche per la roccia mi piace muovermi fuori dai giri, quest’anno al posto che il Masino-Bregaglia, casa mia per 20 anni ed ora abbastanza “sfruttato”, ho preferito spostarmi nella valli vicine del gruppo del Bernina e del Disgrazia, tra l’altro su una roccia che dà tante possibilità per scalate libere e veloci senza dover incappare troppo nell’uso del trapano e dello spit.

Sul tuo blog, nel racconto di “Il futuro siamo noi”, dici che in questi posti non ci viene nessuno. Perché?
Perché in certe esplorazioni per tracciare vie nuove come queste c’è il rischio di non riuscire sempre in belle salite, c’è la possibilità che il tuo giorno di scalata finisca in un nulla di fatto; meglio quindi avere uno spirito meno aggressivo ma più aperto, anche più tempo libero per non avere la pressa di dovere per forza concludere qualcosa. Mi accorgo che sono pochi i compagni di cordata per queste cose.

Pensi che questi posti meriterebbero di essere più frequentati?
Forse preferirei che le pareti distanti e poco “colonizzate” restino tali per un alpinismo/arrampicata da intenditori. Penso all’effetto che fa un remoto Vallone di Sea per i torinesi oppure un il selvaggio gruppo del San Lucano per i dolomitisti. Non sono i posti dove magari ci sono le vie più belle e perfette, però rimarranno luoghi di fascino superiore, perché c’è da muoversi in ambienti remoti e meno battuti di altri più ad “uso e consumo”. Non che sulle pareti in montagna si rischi l’affollamento, ma quando sei veramente solo e distante dal mondo civile c’è sempre quel qualcosa in più che si stampa nella memoria di quella giornata.

Tra le vie di quest’anno c’è anche la Via del 149°. Cosa la distingue dalle altre?
E’ una via dalle caratteristiche alpine “old style”, una lunga cavalcata su roccia bella con qualche tratto più rotto in basso. Si parte dal fondo di uno sperone mai salito che finisce sulla cresta sommitale di una gran bella montagna glaciale. Una cavalcata di “ampio respiro”, senza intoppi, sempre camminando e arrampicando in continuazione. Popi Miotti e Michele Comi stanno organizzando per l’anno prossimo le celebrazioni del 150° della prima salita del Monte Disgrazia ed il nome da dare alla via è stata una logica conseguenza.

Negli ultimi 10 anni cosa è cambiato nel tuo modo di andare in montagna?
Tanto e niente. La voglia del “nuovo” è rimasta, forse più; solo la spinta si è calmata un po’, colpa di ormai tanti anni a provare un po’ tutto in questi campi e facendo così perdere ad essi il senso della novità. Adesso mi muovo con motivazione solo per salite o tentativi che avranno una storia nuova da raccontare. Non vado quasi più a ripetere vie di riferimento in giro per le Alpi o visitare posti famosi, prima vorrei approfittare del terreno libero che c’è a disposizione qui intorno.

C’è un sogno nel cassetto che ti è rimasto irrealizzato e che tenterai di realizzare?
Uno dei sogni ci ho provato due stagioni fa con una montagna mai salita e “alta”, un 7000 di ghiaccio e misto del Karakorum, di cui manco esisteva una foto, un’idea pensata da Maurizio (Giordani) nell’area del Charakusa, tra il K6 e il K7. Niente vetta raggiunta ma già scoprire e solo tentare il 7000 invisibile è stato appassionante (e faticoso) alla pari delle vie nuove di roccia sulle torri di granito, esperienze già fatte in quelle zone le prime volte che ero venuto. Molto più vicino ho l’altro sogno, alpino ma di caratteristiche himalaiane; ci ho provato da solo 10 anni fa ma tornai a casa dopo solo 2 ore di marcia dando la colpa ad uno zaino esagerato, anche se in realtà avevo la coda tra le gambe, ancora troppo intimidito ed “immaturo” per ciò che avrei dovuto fare nei giorni a seguire. Preferisco non rivelarla neanche, mi piace che sia un “mio” sogno.

(www.masinoclimbing.blogspot.com)

 

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