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Daniele Bernasconi: dalla scienza all'esplorazione, le mille facce dell'alpinismo

daniele bernasconi
Daniele Bernasconi

LECCO — A quota ottomila in nome della scienza. Daniele Bernasconi, presidente dei Ragni di Lecco, è rientrato esattamente un mese fa dalla spedizione Share Everest 2011 organizzata dal Comitato Evk2Cnr, durante la quale – con Daniele Nardi e un team di sherpa appositamente addestrati – ha installato a Colle Sud dell’Everest la stazione meteorologica più alta del mondo: un gioiello firmato dal progetto Share, che invia in tempo reale dati atmosferici da quella quota. Abbiamo intervistato lui e gli altri protagonisti della spedizione – Daniele Nardi, Agostino Da Polenza, Giampietro Verza – per raccogliere commenti, racconti, curiosità e impressioni sull’Everest e sulla spedizione che ha segnato un momento storico per l’Italia, ma anche sensazioni personali e progetti futuri. Le pubblicheremo una al giorno su Montagna.tv, proprio iniziando da Bernasconi.

Daniele, un bilancio dell’avventura Share Everest 2011?
L’obiettivo della spedizione era installare una stazione meteorologica a 8000 metri, altezza di Colle Sud. Il 19 maggio lo abbiamo fatto e ha funzionato tutto a dovere. La spedizione quindi è andata bene, poi siamo riusciti anche a portare questo nuovo sensore di vetta fino a Colle Sud e l’abbiamo testato con successo. Insomma, missione compiuta. Mancava solo la ciliegina sulla torta.

Com’è stato lavorare a 8000 metri?
Diventa tutto più difficile, un po’ per il freddo un po’ per la mancanza di forza dovuta alla rarefazione dell’ossigeno. Però si fa: siamo saliti e abbiamo lavorato per due volte lassù. Non è facile, bisogna prepararsi, anche la concentrazione risente delle condizioni estreme. Bisogna avere ben presente che cosa si deve fare, infatti abbiamo svolto degli addestramenti alla Piramide con gli sherpa, per far sì che ci ricordassimo di fare tutto, nell’ordine giusto. Eravamo anche guidati via radio da Giampietro Verza, che è stato un supporto prezioso.

Com’è andata dal punto di vista alpinistico?
L’aspetto alpinistico passa in secondo piano se sei lì per fare un lavoro importante come quello di Share Everest. E’ stata un’esperienza di lavoro, molto positiva.

Preferisci fare solo alpinismo o alpinismo e scienza?
Sono cose diverse. In modo egoistico potrei dire che preferisco il puro alpinismo, ma in realtà in spedizioni come queste si imparano molte cose, su sé stessi e sulle spedizioni, anche a livello di gestione, logistica. Si ha una dimensione diversa, si percepisce quello che l’alpinismo può fare per mondo di oggi, al di là delle soddisfazioni personali e sportive.

Ti è dispiaciuto non salire in vetta?
La vetta era un’opzione per la fine della spedizione, ma non è stato possibile tentare. Prima di tutto quando siamo risaliti a Colle Sud c’era vento quindi la montagna non era in condizioni. Poi facevamo parte di una spedizione scientifica quindi aveva senso salire con il sensore, non per sfizio personale. Per me poteva essere un obiettivo salire senza ossigeno, ma con il sensore da portare non sarebbe stato possibile, nemmeno con l’aiuto gli sherpa, perché salire con e senza implica velocità, tempi, logistiche completamente diverse. Il 19 maggio quando abbiamo attivato Colle Sud era presto, pensavamo di avere tempo per tentare di nuovo, invece il 22 maggio gli sherpa ci hanno detto che secondo loro la stagione era finita. Ci abbiamo provato ma, in effetti, è andata così.

Era la tua prima volta al campo base dell’Everest. Come l’hai trovato?
Uno zoo. Per l’enorme quantità di persone, di diversa provenienza e con diverse aspettative, e l’altrettanto grande quantità di staff che deve supportarle, da cui deriva il continuo via vai di portatori e carovane di yak che portano su cibo e portano via rifiuti. Quando arrivi non ti immagini un bordello del genere, poi mentre sei al base vai a fare qualche passeggiata e ti rendi conto del campionario di umanità che si trova lì ed è impressionante.
L’altra cosa che mi ha stupefatto è la velocità con cui è stato portato via tutto quando è finita la stagione. Non vedono l’ora di andare via sia che abbiano fatto la cima sia che non l’abbiano fatta. Gli alpinisti sono i primi, ma anche gli sherpa non vedono l’ora di tornare a valle. In pratica, prima c’erano 400 persone e poi in 3 giorni sono spariti tutti, uno dopo l’altro. Bastava mezza giornata per smontare un campo base, poi si dileguavano.

In generale l’impressione è negativa o positiva?
Piuttosto negativa. O meglio, diciamo che è un mondo a sé, volendo essere generosi. Il 95 % delle persone che sono lì non sono nemmeno alpinisti. Si intrecciano ambizioni, lavori, persone così diverse che sembra un posto lunare, a tratti fa paura.

C’è stata una grande azione di soccorso sul Lhotse mentre ti trovavi lì. Cosa hai visto?
E’ successo proprio quando siamo tornati al campo base, dalla Piramide, per la finestra di bel tempo in cui volevamo provare la cima. Siamo andati a salutare le due spedizioni spagnole, quella di Edurne e quella “composita” di Juanito e gli altri. Lì abbiamo saputo che c’era il soccorso in atto, ma le notizie erano confuse. So che sono scesi tutti piuttosto distrutti, tranne Carlos Soria. Le opinioni possono essere varie, soprattutto dovrebbe esprimerle chi conosce i dettagli. Io posso dire che ho visto molto individualismo, e che non si dovrebbe ridursi così per una salita. Non te lo ordina il dottore.

Si è parlato anche di un rapporto difficoltoso con gli sherpa per diverse spedizioni.
Come dicevo prima quel campo base è un ambiente strano, particolare… E’ la prima volta che io ho a che fare con gli sherpa. A Colle Sud abbiamo fatto un gran lavoro di squadra. Ma guardandomi in giro ho visto che sia tra gli sherpa che tra gli alpinisti ci sono persone brave e meno brave, forti e meno forti, disponibili e meno disponibili. Il fatto che girino tanti soldi, che l’aspetto commerciale sia così invadente, fa sì che capitino degli screzi.

Sono state fatte cime senza ossigeno?
Secondo la collaboratrice di Elizabeth Hawley quest’anno salite qualcosa come 400 persone, di cui nessuno senza ossigeno: i numeri danno l’idea della difficoltà. L’Everest sarà anche una salita piuttosto facile ma senza ossigeno, così in alto, se c’è freddo o un po’ di vento, ti congeli. Dev’essere proprio una giornata perfetta. Anche l’anno scorso le cime senza ossigeno si contavano sulle dita di una mano. La percentuale di gente che sale senza ossigeno diminuisce sempre, anno dopo anno.

Nel tuo prossimo futuro c’è l’Himalaya o la Patagonia?
Mi piacerebbe fare una spedizione soltanto alpinistica, visto che ora ero via a lavorare per Agostino. Visto che non ho programmato niente per il Karakorum in estate, è più probabile la Patagonia in autunno-inverno. Vedremo.

La collaborazione dei Ragni con il Comitato Evk2Cnr è storica…
Sì, il Gruppo Ragni aveva già collaborato con Agostino – che è un Ragno di Lecco – in diverse spedizioni alpinistiche e scientifiche. Questo è stato un altro passo importante, per un progetto che è di importanza fondamentale per l’ambiente e per le montagne.

L’ultima volta che sei stato in Piramide è stato tanto tempo fa. E’ cambiato qualcosa?
La Piramide è sempre soggetta a migliorie. Dal punto di vista delle attività di ricerca ho visto con piacere che si stanno espandendo, e dal punto di vista del comfort offerto ai ricercatori e agli ospiti è sempre più evoluta. Le persone che sono lì per lavorare sono messe in condizioni di farlo bene, anche lo staff è sempre più professionale.

Il momento più bello di questa spedizione?
La soddisfazione di quando abbiamo attivato la stazione meteo a Colle Sud, e abbiamo saputo che stava funzionando e trasmettendo dati. E’ stato davvero bello.

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