Alpinismo

Spedizioni invernali: perché sono così difficili?

mount-everest in inverno

BERGAMO — Che differenza c’è tra alpinismo invernale e alpinismo estivo? Gli inverni sulle Alpi sono uguali a quelli in Himalaya? Perché non sono ancora mai state realizzate le salite in Karakorum nei mesi più freddi dell’anno? Carico di neve, stabilità dei pendii, temperature, ore di luce: tanti sono gli aspetti che cambiano al variare delle stagioni, anche se quello che fa davvero la differenza tra una montagna e l’altra è la collocazione, la latitudine. In questi giorni in cui si compie il tentativo di Simone Moro e compagni di conquistare la prima salita invernale al GII abbiamo voluto far luce sulla questione. Abbiamo chiesto a Gian Pietro Verza, guida alpina, esperto conoscitore dell’Himalaya e responsabile tecnico delle stazioni meteo del Comitato EvK2Cnr, di spiegarci in che termini stanno le cose.

Che differenze ci sono tra le spedizioni estive e le spedizioni invernali?
Innanzitutto dipende da dove ci troviamo. Partiamo col parlare del territorio più vicino a noi, partiamo dalle Alpi. Qui ciò che cambia maggiormente è la temperatura. Il clima invernale comporta l’innevamento, e quindi le montagne si presentano con pareti coperte di neve e pendii carichi di neve, il che può voler dire pericolo di valanga. Bivaccare o arrampicare con temperature molto basse è cosa molto diversa dal farlo in estate.  I problemi di congelamento, che qui di solito non esistono se non sulle montagne più alte, d’inverno esistono anche su montagne relativamente basse.

L’altro aspetto importante che fa la differenza tra spedizioni estive ed invernali è la durata della luce nella giornata. Mentre d’estate si può avere luce dalle primissime ore del mattino fino a sera, e si possono portare a termine delle salite di una certa durata, le giornate invernali sono corte. L’alpinista d’inverno ha poche ore di luce e sole a disposizione in un giorno, e se è su un percorso che lo impegna per più giorni, deve pensare a organizzare dei bivacchi, adeguati alle temperature invernali.

Quindi l’alpinismo d’inverno è sempre più pericoloso o difficile?
In realtà, se questi possono essere considerati “svantaggi” per le spedizioni invernali, di contro esistono anche dei vantaggi. Capita, sempre più negli ultimi anni, che il freddo invernale crei condizioni più stabili della montagna rispetto all’estate. Per esempio alcune pareti nord sono diventate molto pericolose d’estate perché si verificano grossi sbalzi termici, perché magari le temperature non scendono sotto lo zero, mentre d’inverno presentano temperature più costanti. Questo soprattutto per le pareti nord, per le pareti sud succede meno spesso. Cito per esempio la nord dell’Adamello che è sicuramente più sicura d’inverno che d’estate.

Questo per quanto riguarda le Alpi. E se invece ci spostiamo su altre montagne del mondo, cosa succede?
La differenza tra estate e inverno cambia naturalmente in base alla collocazione geografica del sito di cui stiamo parlando, più ci si avvicina all’equatore meno ci sono differenze tra le stagioni, e al contrario, più ci si avvicina ai poli più le differenze di stagione aumentano. Le Alpi in questo senso sono un ottimo punto di riferimento perché sono a 45 gradi di latitudine e quindi siamo esattamente a metà. L’Himalaya si trova decisamente più a sud, essendo attorno ai 27/30 gradi di latitudine nord, mente il Karakorum è un po’ più a nord, tra i 35 e i 37 gradi.

In Himalaya l’inverno è rigido come nelle Alpi, ma per effetto della latitudine può succedere durante la giornata di avere temperature più alte. D’inverno in un campo base himalayano, se non c’è vento, grazie al sole tropicale, si sta meglio che in un rifugio alpino nelle Alpi. Proprio perché la differenza di latitudine porta a una maggiore energia, a un maggior calore durante il giorno ai siti come quelli Himalayani caratterizzati da un clima più tropicale rispetto al nostro, anche se siamo a 5000 metri.

Se pensiamo alla meteorologia himalayana, dopo il monsone abbiamo l’autunno e poi l’inverno: il che vuol dire che con i monsoni arrivano le precipitazioni più grosse, dopo di che le montagne vanno, per così dire, “pulendosi” dalla neve. Tipicamente l’Everest da sud in autunno appare bello bianco o grigio, mentre alla fine dell’inverno, in primavera o inizio estate (prima dei nuovi monsoni), lo si vede completamente nero, spoglio. Quindi d’inverno, in certi punti delle montagne, la neve sparisce completamente, il che in certi casi è un male perché sulla neve dura (se l’innevamento non è eccessivo o con presenza di neve crostosa) si può camminare più facilmente che sulla roccia o il ghiaccio vivo.

Quali sono quindi le maggiori difficoltà che incontrano gli alpinisti nelle spedizioni invernali in Himalaya?
In Himalaya quello che sempre si teme più d’inverno è il vento. Le temperature minime certamente sono più basse perché il sole è meno forte rispetto d’estate, ma quello che può raffreddare di più, anche in tempi molto brevi, è il vento. In Himalaya le correnti possono arrivare alla punta dei “jet stream”, le tempeste d’alta quota che possono verificarsi anche all’inizio della primavera, quando si comincia a salire. In una spedizione invernale sulle montagne più alte della terra, il jet stream deve essere messo in conto assolutamente, perché comporta vento intenso e raffreddamento molto forte. Durante l’inverno sull’altopiano tibetano c’è un centro di alta pressione e quindi ci si aspetta correnti da nord, nord-ovest, soprattutto parlando della zona dell’Everest. Questo per gli alpinisti significa non solo non potere proseguire, ma magari anche essere costretti a bivaccare in quota con condizioni veramente estreme. E’ piuttosto pericoloso farsi cogliere dal jet stream quando si è in alto, mentre ai campi base si può sopravvivere discretamente usando accorgimenti come mettere una tenda dentro l’altra per creare uno strato isolante. Tipicamente, per esempio, questo è il caso delle tende mense.

Himalaya e Karakorum: che differenze ci sono nelle spedizioni invernali?
Se paragoniamo l’Himalaya al Karakorum bisogna tenere conto che quest’ultimo si trova a una latitudine più alta e quindi può essere anche più freddo. Le giornate di sole sono meno calde che in Himalaya, ma anche qui soffiano venti molto forti. Un ulteriore problema è poi senz’altro l’accesso, perché mentre in Himalaya, in diversi casi, l’accesso da sud, soprattutto in territorio nepalese, si trova in zone con relativamente poca neve, in Karakorum spesso si trovano su ghiacciaio e quindi è molto più facile trovare neve. Siamo più a nord, quindi se ci sono precipitazioni sui ghiacciai queste tendono a rimanere al suolo. Ecco perché sta diventando abbastanza standard l’utilizzo anche dell’elicottero per stabilire i campi base, a differenza dell’Himalaya, dove rimane più utilizzato il trasporto classico con gli yak, magari portando prima della spedizione i campi deposito.

Dipende quindi da questo secondo te, il fatto che siano rimasti solo gli 8000 del Karakorum ancora da scalare in invernale?
Sì, anche perché il meteo pakistano è sempre un po’ più instabile rispetto a quello dell’Himalaya, può più frequentemente risentire dell’apporto di masse d’aria umide con precipitazioni nevose (caratterizzate da neve leggera) che vengono lavorate dal vento complicando la stabilità di tanti posti. Questo aspetto, unito alle difficoltà di accesso (in Himalaya le comunicazioni tra i campi base e gli alpeggi/villaggi più alti sono più semplici) e alle temperature più basse, ha favorito sicuramente la realizzazione delle invernali prima in Himalaya che in Karakorum.

Oggi le nuove frontiere dell’alpinismo invernale d’alta quota vedono piccole e agguerrite spedizioni che devono muoversi con uno stile più vicino a quello alpino, la permanenza sulla montagna richiede troppe energie ed è potenzialmente pericolosa. Ma anche le prolungate permanenze ai campi base richiedono una determinazione e una capacità di adattamento che non appartiene ormai più a tanti alpinisti d’alta quota “estivi”. D’inverno in alta quota abbiamo spesso alcuni tra i migliori alpinisti in azione, e i risultati possono essere talmente scarsi da rendere difficile anche ottenere delle sponsorizzazioni con un sufficiente ritorno di immagine.

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