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Ghiacciai lombardi: perso il 21 per cento in un decennio

Il ghiacciaio dei Forni
Il ghiacciaio dei Forni

MILANO — I ghiacciai lombardi hanno perso il 21 per cento della loro superficie in 10 anni. E’ quanto emerge dallo studio “Clima e ghiacciai”, commissionato da A2A e dal Consiglio regionale della Lombardia al climatologo e collaboratore del Comitato EvK2Cnr Claudio Smiraglia per monitorare le conseguenze dell’effetto serra sulle risorse glaciali lombarde.

Ebbene, dai dati in possesso a Claudio Smiraglia, ex presidente del Comitato Glaciologico italiano e attualmente rappresentante del nostro paese presso l’International Glaciological Society e membro del consiglio scientifico del Comitato Evk2cnr, si evince che, similmente a gran parte delle catene montuose del resto del mondo, anche i ghiacciai alpini stanno perdendo spessore e tendono all’estinzione, mentre il permafrost sta fondendo rapidamente. A questi ritmi, in futuro il collasso della “criosfera” è praticamente accertato.

Secondo quanto scrive Smiraglia nel rapporto, la crisi climatica in atto ha fatto perdere ai ghiacciai lombardi il 21 per cento della loro superficie in un decennio. Questo depauperamento sta portando alla riduzione, se non all’estinzione, di una risorsa fondamentale a livello idrico. Per cercare di mantenere il più possibile intatto il ghiacciaio, gli scienziati stanno sperimentando una speciale coperta termica che ne dovrebbe ridurre lo scioglimento del 50 per cento. L’hanno applicata al ghiacciaio dei Forni in Valtellina. Altre coperte sono state applicate anche al ghiacciaio del Dosdè e al Presena.

Il fenomeno dello scioglimento è infatti diffuso all’intero arco alpino. La superificie coperta da ghiacciai in Alto Adige si è ridotta di oltre il 30 per cento tra il 1983 ed il 2006. Il dato viene dal catasto dei ghiacciai, presentato alla riunione estiva del Comitato glaciologico italiano tenuta a Bolzano. Rispetto al massimo avanzamento del XIX secolo si stima che in Alto Adige le aree ricoperte dal ghiaccio si siano ridotte del 66,2 per cento. Attualmente i ghiacciai coprono poco piu’ dell’1,2 per cento della superficie altoatesina.

Se l’Alto Adige piange il Trentino non ride. Un esempio per tutti: secondo alcune recenti ricerche al ghiacciaio trentino del Careser, nel massiccio dell’Ortles-Cevedale, non resterebbero che trent’anni di vita. Lo ha detto in un’intervista al quotidiano locale “Trentino”, il glaciologo Christian Casarotto, del Museo tridentino di Scienze naturali, in base ai rilievi effettuati da un progetto finanziato dall’Unione Europea.

Nel frattempo l’Università di Milano e il Comitato EvK2Cnr sono impegnati nel progetto Share Stelvio che porterà in Italia le tecnologie e le concezioni che negli ultimi anni hanno dato una prova straordinaria in zone lontane come Karakorum e Himalaya. Non che sullo Stelvio o sulle Alpi non si facciano monitoraggi: sulle Alpi vengono fatti ormai da un secolo e mezzo, le scienze della montagna d’altronde sono nate qui. Ma stavolta si tratta di creare un pool di studiosi, effettuare monitoraggi strumentali e applicare le concezioni che si sono rivelate molto efficaci in altre zone del pianeta.

Perchè proprio allo Stelvio? Perché il Parco nazionale, che il più grande d’Italia, è una zona di alta montagna antropizzata. Qui ci sono interessi di tipo scientifico stretto e di tipo applicativo: ovvero la conservazione dell’ambiente da una parte, e la vità quotidiana delle persone che ci abitano, dall’altra. La serie di monitoraggi che i due enti scientifici hanno organizzato sarà d’aiuto per conoscere meglio il clima e l’ambiente del parco. E dall’altro lato, fornirà suggerimenti importanti per una corretta gestione ambientale di queste aree.

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Un commento

  1. Sinceramente non riesco molto a capire gli studi che coinvolgono la “speciale coperta termica”. Quale aiuto concreto dovrebbero dare? E’ chiaro che una coperta termica e bianca, riflette i raggi solari diminuendo o scioglimento della neve invernale, ma dopo? Cosa facciamo ci mettiamo a coprire tutti i ghiacciai d’estate e poi svelti svelti li scopriamo prima della prima nevicata? Mah. Chissà che inquinamento per poter posizionare tutti quei teloni! Mi ricordo le notizie trionfanti dei primi studi al ghiacciaio del Dosdé: se non ricordo male erano 100 m2 e avevano salvato forse 150 cm (o 200) di spessore di neve. Bene. Quali dati sono stati ricavati da quella esperienza?
    A questo punto mi sembrano più concreto l’uso dei teloni al Presena per salvaguardare quel povero ghiacciaio così da poterlo sfruttare per lo sci estivo (anche se personalmente sono un contrario a questa attività sportiva durante l’estate).
    Perché invece non si utilizzano i teloni per scoprire cosa succede, salvaguardando la neve negli anni, in un sito ad alta potenzialità nivoglaciale? Mi viene in mente il nevaio del Colombano sul monte Legnone.

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