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Picozzata: spedizioni commerciali, la degenerazione dell’alpinismo

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Le spedizioni commerciali, lo diciamo da molto tempo, sono una degenerazione maligna dell’alpinismo.

Lo confermano due polemiche di queste settimane: la prima di principi e valori, la seconda con l’aggiunta del morto dopo un tragico e sconfortante abbandono durante un’agonia infinita a 8400 metri, sul versante nord dell’Everest.
 
Nel primo caso, sull’onda di polemiche innescate da notizie che poi si sono rivelate del tutto false sulla profanazione della vetta del Genyen da parte di una spedizione italiana, siamo stati accusati, con, di nuovo, un’errata identificazione, di essere “commercianti di alpinismo”.
 
Si è così riacceso il dibattito sui mercanti veri di alpinismo, sull’opportunità ed eticità dell’organizzare e partecipare alle spedizioni commerciali, sull’uso dell’ossigeno, sulla corretta informazione tecnico-alpinistica, sulla necessità di fermare l’attività alpinistica in caso di incidenti. Ne ha scritto anche l’ottimo Giorgio Spreafico sulla sua pagina della montagna della Provincia.
La seconda polemica riguarda il caso di David Sharp, vittima dell’alpinismo e certamente del malcostume morale innescato dalle spedizioni commerciali.
 
Quello che qui mi preme considerare è che le anime belle dell’alpinismo attivo, smobilitato, d’alta e bassa quota, ufficiale, libero e ambientale, tacciono. Preferiscono non vedere e non sentire, come coloro che sono passati davanti al povero Sharp.
 
(Nell’immagine, Russell Brice e Kari Kobler)

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