Gente di montagna

A tu per tu con Aleš Česen: il Gasherbrum III e altre storie

Sloveno, 43 anni, figlio di un altro grande come Tomo. Aleš Česen, che sul Gashebrum III, con l’inglese Tom Livingstone, ha vinto il suo terzo Piolet d’Or, è tra i protagonisti dell’alpinismo himalayano in stile alpino. Ecco le sue opinioni e la sua storia

Quanto contano davvero, in alta montagna, 48 metri di dislivello? Su un sentiero sono pochi minuti di salita, in parete un tiro di corda o poco più. Sulle vette più alte della Terra possono avere un significato importante, specie se sono quelli che mancano per raggiungere la fatidica quota 8000.  

Chi guarda, anche a distanza, al massiccio dei Gasherbrum, nel Karakorum pakistano, dovrebbe saperlo molto bene. La quarta vetta del gruppo, 7925 metri, è stata salita per la prima volta nel 1958 da una famosa spedizione italiana (la diresse Riccardo Cassin, arrivarono in cima Walter Bonatti e Carlo Mauri), ed è stata descritta molte volte come uno dei “quasi 8000” più belli e impegnativi della Terra. 

Lo stesso vale, o dovrebbe valere, per il Gasherbrum III, 7952 metri, diventato nel 1975 la cima più alta del mondo alla cui prima ascensione hanno partecipato delle donne, in questo caso l’inglese Alison Chadwick e la polacca Wanda Rutkiewicz. 

Nell’estate del 2024, lo sloveno Aleš Česen e il britannico Tom Livingstone hanno compiuto la terza ascensione assoluta della cima (non essere un “ottomila” riduce certamente le visite), aprendo una nuova via di quasi 3000 metri di sviluppo, che risale la cresta Ovest e comprende un tratto che è stato classificato M6. 

L’ascensione, durissima anche a causa della quota e del meteo, è stata premiata dalla giuria dei Piolets d’Or. E’ un buon punto di partenza per conoscere Aleš Česen, 43 anni, una delle star del nuovo alpinismo sloveno. Suo padre Tomo Česen è diventato famoso nel 1986 grazie a una nuova via sulla parete Sud del K2, e quattro anni dopo per la prima salita della parete Sud del Lhotse, poi contestata da altri alpinisti. 

Per Aleš, quello assegnato a San Martino di Castrozza è il terzo Piolet d’Or in una lunga serie di ascensioni extraeuropee in stile alpino. Lo sloveno era già stato premiato nel 2015 per la parete Nord dell’Hagshu, nello Zangskar indiano, salita con Marko Prezelj e Luca Lindič, e nel 2019 per la cresta Nord del Latok I, nel Karakorum, insieme a Tom Livingstone e Luka Stražar.

Aleš, quando hai iniziato a dedicarti ai Gasherbrum?

Li ho scoperti nel 2016, dalla vetta del Broad Peak, che fino a ora è il mio unico “ottomila”. E’ un massiccio meraviglioso, sono rimasto a bocca aperta. Prima del Covid e della chiusura dei confini ho tentato senza riuscirci il Gasherbrum IV. Nel 2022, con Tom Livingstone, ho tentato per la prima volta il Gasherbrum III, per la via che abbiamo completato l’anno scorso.  

Cos’è andato storto la prima volta?
C’era vento, un vento fortissimo. Per cercare di ripararci ci siamo spostati a sinistra, sulla parete Nord-ovest. Ci siamo fermati a 7800 metri circa, ai piedi di una placca di granito che non eravamo in grado di salire. 

Due anni dopo siete tornati alla carica. E ce l’avete fatta…
Al mondo ci sono tante montagne, di solito non amo tornare su vie e cime che conosco già. Ma il Gasherbrum III è una vetta troppo bella, e sono ripartito insieme a Tom. Abbiamo riattraversato la seraccata alla base del massiccio, che è lunga e complicata, poi fino a 7000 metri circa abbiamo seguito la via normale del Gasherbrum II, che supera gli 8000 metri ed è quindi piuttosto frequentato. Poi siamo tornati a sinistra verso la cresta Ovest. 

Ed è andato tutto bene?
No. Nella prima rotazione a 7000 metri mi sono sentito male, sono tornato al campo-base e ho passato 10 giorni di riposo, consultando online dei medici in Svizzera e in Slovenia. Il tempo era magnifico, tanta gente pubblicava sui social i suoi selfie sulla vetta del Gasherbrum II, e scriveva di un tempo magnifico e senza vento. Che rabbia…

Poi, finalmente, siete ripartiti anche voi.
Sì, il 31 luglio, partendo prestissimo per salire il canale iniziale evitando il rischio di scariche. Il secondo giorno faceva quasi caldo, e siamo saliti su terreno difficile e improteggibile, salendo di conserva con qualche ancoraggio psicologico. Poi il meteo è peggiorato, e abbiamo dovuto bivaccare seduti, a 7800 metri, su un gradino roccioso e nella tormenta. Lo speaker dei Piolets d’Or ha parlato di un bivacco “sotto alle stelle”. Ma chi le ha viste, quella notte, le stelle? 

Poi i 7952 metri della vetta e la discesa. Tutto a posto?
Siamo arrivati in vetta al Gasherbrum III con la neve alta e nella bufera, avevamo paura di non trovare la via di discesa, quando abbiamo raggiunto il primo ancoraggio sul versante opposto a quello di salita abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Poi non ci sono stati più problemi. 

Quando e come ti sei avvicinato all’alpinismo?
Sono figlio di Tomo Česen, a casa mia la montagna è sempre stata presente. Ho iniziato a scalare insieme a mio fratello Nejc, che ha due anni meno di me. Entrambi venivamo dalle gare di arrampicata, poi abbiamo scoperto le pareti delle Alpi Giulie. Più tardi ho passato molto tempo a Chamonix, affrontando le grandi vie delle Alpi occidentali. In quegli anni, partecipare ai campi alpinistici del Club Alpino sloveno mi ha aiutato molto.  

Poi sono arrivate le spedizioni. Hai sempre preferito lo stile alpino?
La prima spedizione extraeuropea è stata nel 2003, nel Tien Shan, salendo la via normale del Khan Tengri, 7010 metri. Due anni dopo, in Tibet, ho tentato senza riuscirci il Kula Kangri, 7538 metri, con un team di 10 alpinisti. E’ stata l’unica spedizione numerosa della mia vita. 

Tu in Slovenia sei un personaggio famoso, ma da anni parti con alpinisti di ogni parte del mondo, a iniziare da Tom Livingstone che è nato nel Sud dell’Inghilterra. Perché?
Ad alti livelli ci conosciamo tutti, è logico partire con chi ti sta più simpatico, o con persone con cui ti sei trovato bene in passato.

Prima di partire per le tue spedizioni ti alleni solo dal punto di vista atletico o anche da quello psicologico?
No, non ho mai fatto una vera preparazione psicologica per le spedizioni. Ho sempre cercato di utilizzare al meglio l’esperienza che ho accumulato negli anni. 

Riesci a vivere solo con le spedizioni o fai ancora la guida alpina?
Dedico molto tempo alle spedizioni ma non lo faccio a tempo pieno. Preferisco così, per non essere troppo dipendente dagli sponsor. Faccio la guida qualche volta sulle Alpi, e più spesso durante dei progetti speciali. 

Uno di questi progetti è l’Antartide, che sui tuoi social si vede molto spesso. Come mai? Ci vai ogni anno? E da quanti anni?
L’Antartide mi piace molto, e ci vado a lavorare per un’agenzia di viaggi avventurosi. Vado nella Queen Maud Land, che si raggiunge in volo dal Sudafrica, faccio il mio lavoro di guida alpina su terreno facile: camminate sui ghiacciai, vette senza difficoltà. Questo è il mio settimo anno, sono già stato lì a novembre, tornerò giù a gennaio. 

Invece a dicembre sei sulle Alpi, solo per partecipare ai Piolets d’Or?
Soprattutto per stare con la famiglia. Ho due figli, una volta tanto voglio festeggiare il Natale insieme a loro. 

Torniamo per un momento ai Gasherbrum. Insieme a Tom Livingstone, sei tornato nella zona dove nel 2023 e nel 2024, sul Gasherbrum IV, hanno perso la vita Dmitry Golovshenko e poi Sergey Nilov, che voleva recuperare il corpo dell’amico. Entrambi in passato avevano vinto due Piolets d’Or. Tu e Tom siete stati più bravi di loro?
Mi piacerebbe poter dire che è così. Invece siamo stati solo più fortunati di loro. La montagna è così.    

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close