Ambiente

Allo studio l’impatto del rumore antropico sulla fauna alpina

Il progetto WildSOUND, coordinato dalla Fondazione Edmund Mach, consentirà di valutare gli effetti dei rumori causati dall’uomo sui selvatici: stress, spostamenti non voluti, dispendio energetico, disorientamento

Quante volte è stato detto e scritto che in montagna le attività antropiche possono recare disturbo alla fauna selvatica? Gli esempi più eclatanti sono quelli relativi all’utilizzo dell’elicottero per motivi ricreativi, quali l’eliski, o l’esagerato transito di motoslitte e, perché no anche lo sci alpinismo in aree particolarmente delicate.

Ora un progetto punta a studiare l’impatto del rumore antropico sulla fauna selvatica alpina, in particolare su cervi, caprioli e camosci. Sensori acustici e fototrappole andranno a monitorare il paesaggio sonoro di alcune aree boschive del Trentino e della Lombardia per capire come le attività umane lo stanno trasformando. È l’obiettivo del progetto WildSOUND, coordinato dalla Fondazione Edmund Mach e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito delle azioni Marie Skłodowska-Curie.

È sotto gli occhi di tutti che sulle Alpi, nelle aree più famose, ma anche in posti remoti, la presenza dell’uomo è aumentata nel tempo, e di conseguenza sono aumentati anche i suoni prodotti. Ma quando questi suoni diventano rumori causano un disturbo all’ecosistema, provocando una reazione da parte degli animali. Questi possono modificare le aree abitualmente frequentate e cambiare il loro comportamento. Se, per esempio i camosci sono costretti ad aumentare la vigilanza e i loro spostamenti, subiscono cambiamenti fisiologici con un maggior dispendio energetico e un aumento dei livelli di stress.

Il progetto

La ricerca fornirà dati raccolti su vasta scala in Val di Non, Val di Peio, Valle del Tonale e Valfurva, con il supporto del Parco Nazionale dello Stelvio, sia nel settore trentino che in quello lombardo.
Attraverso l’uso di numerosi registratori acustici, verranno misurati i livelli sonori e identificate le principali fonti di rumore. I sensori audio saranno installati in zone già monitorate attraverso l’uso di fototrappole utilizzate per studiare la presenza di cervi, camosci e caprioli. Per studiare gli effetti fisiologici dell’esposizione al rumore, saranno analizzati i dati di movimento (tramite collari GPS) e i livelli di stress (attraverso l’analisi di campioni fecali) in aree che differiscono tra loro per il livello di esposizione al disturbo umano. Sarà così possibile ottenere una rappresentazione del paesaggio sonoro di queste zone. Questi valori verranno poi confrontati con informazioni sulla presenza umana, come la vicinanza a centri abitati, strade e l’intensità di attività all’aperto. Sarà anche possibile valutare gli effetti comportamentali e fisiologici del disturbo acustico sugli animali selvatici, conducendo esperimenti controllati per comprendere meglio questi impatti.

Il benessere umano

L’obiettivo è comprendere come i paesaggi sonori – e la loro progressiva trasformazione dovuta a traffico, attività turistiche e urbanizzazione – condizionino la presenza e il comportamento della fauna selvatica, ma anche il benessere umano. Risposte simili a quelle degli animali, infatti, possono essere osservate anche nell’uomo. I benefici del riposo in aree naturali non sono forse legati anche alla necessità di silenzio o di un “paesaggio sonoro naturale” dove apprezzare il canto degli uccelli, il vento, la pioggia?

“Ogni ecosistema ha una sua identità acustica – spiegano Virginia Iorio, coordinatrice del progetto, e Francesca Cagnacci, responsabile dell’Unità Ecologia Animale – e gli animali ne fanno pieno uso per orientarsi, comunicare, ed evitare i predatori. Modificare questo equilibrio può avere effetti invisibili, ma profondi, anche sul nostro benessere. Con questo progetto vogliamo portare alla luce questi cambiamenti, e farlo con l’aiuto della tecnologia e della scienza”.

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