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Autunno: tempo di guardare la montagna da nuove prospettive

È il momento della “montagna di scarto”, quella che si scopre a mezza quota senza puntare a una meta precisa ma privilegiando il piacere di guardarsi intorno. Le sorprese non mancheranno

Con l’autunno le foglie scendono leggere, le zecche scompaiono e i sentieri di bassa quota tornano a essere un invito. È la stagione perfetta per rimettersi in cammino, partendo dal cuore di ogni villaggio alpino – la chiesa, il nucleo antico, magari dimenticato – anche a bassa quota. Da lì si dirama ancora la rete fitta di mulattiere e sentieri che un tempo collegavano il piano alle vette, il fondovalle alle testate dei monti.

C’è un percorso per ogni passo, desiderio e umore. Basta seguire la prima intuizione, lasciarsi guidare dai segni e dalle tracce via via più sottili. Nascono deviazioni, divagazioni, saliscendi, inevitabili roveti da attraversare. Ma è proprio in questo vagabondare che riaffiorano le sorprese: un muro nascosto, un’incisione su una pietra, un utensile dimenticato, la storia raccontata da un passante, un vecchio fiasco abbandonato su un tavolo, un cappello sgualcito, l’impronta del selvatico, la tana del tasso, una salamandra lucida nel muschio.

Riscoprire il potenziale di vitalità del rudere, della montagna di “scarto” che fa pensare, anche senza nulla di eccezionale, solo perché risparmiati dalla distruzione perpetrata altrove.

Terrazzi silenziosi, invasi dal bosco che cancella ogni traccia umana. In questo groviglio è bello ritrovarle, queste tracce, queste pietre d’angolo, segni incisi, versanti plasmati. Abbandoni che trasformano il nostro incedere in una piccola caccia al tesoro, che è di tutti, senza recinti. Avvolti dal muschio però si conservano, in attesa di un pensiero che possa riscoprirli, senza distruggerli.

Quando seguiamo un itinerario già segnato, con una meta prestabilita, il pensiero corre con lo sguardo a “quanto manca?” L’esplorazione senza meta invece è tutta presenza, coglie dettagli, incrocia sguardi, interpreta segni, porta sempre a casa qualcosa di nuovo. E le tappe distano di volta in volta fin dove l’occhio può arrivare.

Qualche fastidio va messo in conto: un muro di rovi inestricabile, il sentiero franato, una tana di vespe aggressive, le scarpe inzaccherate, la giacca nuova strappata dalle spine. Ma è proprio durante questo cammino che le cose sembrano accadere da sole, come l’incontro con la radura perfetta per la merenda, l’altura panoramica per guardare lontano, la fonte d’acqua fresca, l’angolo raccolto per leggere, una seduta di muschio morbido per la sosta.

È la rivincita della montagna snobbata, quella dei sentieri non mappati, delle contrade decrepite, dei luoghi fuori dai dépliant turistici.

Qualcuno potrebbe dire che sarebbe meglio non svelare questi percorsi. Giusta osservazione. Ma il filtro d’accesso è già lì, richiede fatica, qualche scomodità, e predisposizione d’animo rara. Chi la possiede non potrà mai ridurre questi sentieri di meraviglia a oggetti di svago di breve durata, a stereotipi estranei al mondo montanaro.

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