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Stranded: orrore sulle Ande

Un Fairchild F-227 dell’aviazione uruguayana, una squadra di rugby, un viaggio da Montevideo a Santiago del Cile per una partita. Poi la bufera, un errore di rotta, lo schianto sulle Ande. E’ così che la storia, vera, di 45 uomini si trasforma in una terribile tragedia: 16 sopravvisuti, 72 giorni in una vallata a 4000 metri con 40 gradi sotto zero. Eroi. Ma per molti sono colpevoli di cannibalismo. Un’odissea riportata da Gonzalo Arijon in un film-documentario dove, per la prima volta, sono proprio i protagonisti a raccontarci quel calvario e la loro volontà di sopravvivere.

Dopo "Alive" di Frank Marshall e l’omonimo libro di Paul Read, ritorna sul grande schermo la catastrofe aerea del 13 ottobre 1972. Ma questa volta non si tratta di un film ispirato alla terribile sciagura. In "Stranded: I Have Come from a Plane That Crashed on the Mountains", protagoniste sono le testimonianze dei superstiti di quel volo. Riuniti per l’occasione dal regista nel luogo dell’incidente, battezzato la valle delle lacrime, per la prima volta, i sopravvissuti ricostruiscono lucidamente quel dramma. Dall’inizio alla fine.

Si parte dalle prime turbolenze, affrontate con leggerezza da quelli che nel 1972 erano dei ragazzi. Poi il ricordo delle ali contro la montagna, dell’elica che squarcia la cabina passeggeri, della fusoliera del Fairchild che si schianta sulla neve, nel nulla. Quello scontro uccide subito 16 passeggeri, mentre gli altri si organizzano per soccorrere i feriti e per sopravvivere.

"Eravamo tutti ragazzini capricciosi e benestanti costretti a sopravvivere in una situazione estrema – Racconta Carlos Paez, il più giovane dei 16 sopravvissuti -. Dopo si diventa umili, ci si allontana anche dalle cose materiali. Penso che riuscimmo a sopravvivere perché eravamo un gruppo, una squadra. E perché c’erano dei leader tra noi che decisero come potevamo salvarci e lo imposero agli altri."

Il capo squadra mantiene infatti il suo ruolo: amministra il poco cibo, gestisce i soccorsi, fa coperte con la stoffa dei sedili e occhiali con la plastica dei finestrini, cerca di mantenere viva la speranza, soprattutto quando si scopre che le ricerche sono state sospese.

"Avevamo una radio, quella dell’aereo, che funzionava solo in ricezione – continua Paez -. Potevamo ascoltare ma non chiamare. La sera del 23 ottobre abbiamo sentito che a Montevideo avevano deciso di interrompere le ricerche. Eravamo ufficialmente morti. Ricordo che stavamo sdraiati in quel che restava della fusioliera per proteggerci dal freddo e che Fernando si alzò e disse: ‘Ok, vado a mangiarmi il pilota’. In realtà ci stavamo pensando tutti da giorni, ma nessuno aveva avuto il coraggio di rompere il tabù, di dirlo. Fernando e Roberto, che studiava medicina, uscirono e dopo qualche minuto tornarono con dei pezzetti finissimi di carne. All’inizio fu orribile, qualcuno si rifiutò di inghiottirli. Erano congelati."

Il racconto è lucido, disarmante: "Ho deciso che volevo vivere". Le parole dei protagonisti sono accompagnate da filmati esplicativi di fiction. Ma il regista vuole sottolineare lo scarto tra pura ricostruzione e storia vera: Arijon confina le immagini a una dimensione più vicina al sogno. Solo la voce dei protagonisti è al centro della narrazione. E’l’unico filo conduttore verso noi spettatori. Le inquadrature sono assolutamente razionali ma comunque emozionanti. Non mancano fotografie e filmati originali e le dichiarazioni rilasciate nella conferenza stampa del 1972.

In 113 minuti "Stranded" descrive la fine di un’incubo che per i protagonisti non può finire: "Da trent’anni c’è un patto che nessuno di noi ha mai violato – racconta ancora Paez -. Non riveleremo mai con quali cadaveri ci nutrimmo e con quali no. Ho rivisto milioni di volte quei giorni, non faccio altro. Ma noi non avevamo scelta. Noi eravamo morti per tutti. Per tornare alla vita non avevamo altra scelta che resistere a qualsiasi costo".

Una storia di orrore, di un’angoscia per noi incomprensibile ma anche di eroismo, di solidarietà, di amicizia che valse a "Stranded" il premio del pubblico per i lungometraggi al Trento Filmfestival 2008.

Jenny Maggioni

 

Foto courtesy of  zeitgeistfilms.com

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