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Il prigioniero dell’Eiger

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Un errore di linea, un giorno perso, un’unione sfortunata con la cordata di due giovani tedeschi che chiedono aiuto. Poi la bufera, il gelo, la disperazione. E’ così che la storia di Claudio Corti e Stefano Longhi, e il loro sogno sulla Nord dell’Eiger si trasformano in una terribile tragedia, seguita e poi giudicata da tutta l’Europa. E’ Riccardo Cassin a recuperare un Corti in fin di vita, unico sopravvissuto della vicenda. Un eroe? No. Finisce per essere il colpevole agli occhi del mondo intero. Ed è qui che inizia l’odissea raccontata da Giorgio Spreafico in questo libro dove, per la prima volta, è proprio Corti a raccontare, a sfogare la sua rabbia e a regalare al lettore un tuffo in un mondo che rischiava di andare perduto.

"Le cose difficili sono speciali proprio per questo – racconta Corti nel "Prigioniero dell’Eiger" -. Perchè ci devi dare dentro: ti tocca prepararti e quando è il momento ti tocca dare il meglio, tutto, fino a quando ce ne hai. Se è quello che vuoi, ce n’è poca di roba più bella". Parte pieno di speranza, proprio come Claudio Corti alla vigilia della scalata, il libro – verità sulla tragedia dell’Eiger uscito da pochi giorni nelle librerie.

E poi, come lui, compie un viaggio emozionante e tormentato prima sulla montagna, poi attraverso le polemiche e le accuse che travolsero il protagonista e non si placarono nemmeno quando, dopo quattro anni infernali, nel 1961 la sua versione dei fatti venne confermata dal ritrovamento dei corpi di Günter Nothdurft e Franz Mayer, i tedeschi che rallentarono la cordata italiana durante la salita.

"E’ impressionante il divario che ho scoperto tra quello che si è detto e la verità dei fatti – spiega l’autore, Spreafico -. Corti, non abituato alla dialettica, fu stritolato dagli scritti di un professore universitario come Heinrich Harrer, uno dei primi salitori della Nord dell’Eiger, che non era nemmeno presente sulla scena del soccorso, ma scrisse un libro sulla vicenda coprendo di infamie gli alpinisti italiani. Un libro che venne tradotto in diverse lingue e influenzò l’opinione pubblica dell’Europa intera".

"Sì però adesso basta – si sfoga oggi Corti, che oggi ha 79 anni -. Basta, eh, che sarebbe anche ora. Cos’è che vuole ‘sto tedesco qui? Cos’è che gli ho fatto? Non lo conosco, non so nemmeno dove sta di casa, non so che faccia ha dentro. Ma chi crede di essere, il Padreterno? Non c’era, non ha visto, non mi ha chiesto, e allora perchè se le inventa le cose. Balle, dai, questo tedesco qui conta delle gran balle, e non so com’è che si riesce a farlo smettere. Dice che ho abbandonato Stéven quando non capiva niente. Che lui non sapeva fare i prusik. Quelle cose li lui le insegnava ai corsi di roccia. Invece ‘sto tedesco qui gli ha dato dell’asino, del barlafuso, che almeno un morto poteva lasciarlo stare. poteva rispettarlo. Però lui scrive i libri, e tanti li leggono e dopo pensano che il Claudio Corti è un asino, un matto, è uno che ammazza la gente. E’ una porcata, dai, una porcata".

Ma non fu solo Harrer a mettere in difficoltà Corti, accusato di aver causato la morte di tre persone sulla parete e tacciato perfino di essere un "portasfortuna". Molti lecchesi presero le distanze dall’alpinista, in primis Carlo Mauri e Riccardo Cassin, che condannò il loro tentativo di scalata definendolo quasi da incoscienti.

"C’è però una domanda che resterà senza risposta – dice Spreafico -. Senza quell’errore il primo giorno all’attacco della parete, senza quel ritardo come sarebbe finita? Forse la prima italiana sulla Nord dell’Eiger sarebbe stata di Corti e Longhi. E forse, in quel periodo, la cosa avrebbe potuto infastidire molte persone che ritenevano un’impresa destinata ad altri, più esperti e noti di loro. Qualcuno disse che questa storia non si poteva raccontare fino a quando Cassin era vivo. Ma non sono d’accordo. Questo libro è stato scritto con un profondo affetto verso Cassin ma anche con la profonda convinzione che sia giusto dare una spiegazione alle cose accadute. E soprattutto accettarle".

In questo libro, comunque, c’è molto di più di una risposta alle polemiche. L’Eiger e la tragedia sono solo il punto di partenza di quello che vuole essere soprattutto il racconto di un personaggio, Claudio Corti, che ha scritto un pezzo di storia, un pezzo di alpinismo che rischiava di andare perduto. Ma Spreafico è riuscito a recuperarlo, raccogliendo la sua voce prima che si affievolisse. 

Oltre alla testimonianza di Corti, alla base di questo libro c’è un lavoro storico eccezionale. Le scene vengono ricostruite con un livello di dettaglio quasi cinematografico. E viene dedicato molto spazio anche alla figura di Stefano Longhi, che purtroppo morì in parete dopo essere stato colpito da un congelamento alle mani gli impedì ogni movimento. Lionel Terray, un altro dei nomi celebri che si unì alla squadra dei soccorsi, tentò di calarsi per recuperarlo ma non ci riuscì, a causa di un guasto alla radio e del sopraggiungere del maltempo. Così, il suo cadavere rimase appeso lassù, sotto gli occhi dei turisti che puntavano il cannocchiale dalla Kleine Scheidegg per cercare di vedere l’orrenda testimonianza di quella tragedia. E vi restò per due anni. Claudio Corti tentò, con un gruppo di alpinisti veronesi, di recuperarlo, ma il tentativo venne mandato a monte dalle autorità svizzere.

"I veronesi sono un gruppo straordinario di personaggi – racconta Spreafico – che rimasero vicini a Corti più dei lecchesi. Il libro è pieno di sorprese del genere. Ci sono racconti di testimoni di cui non si conosceva nemmeno l’esistenza. Foto di oggetti ritrovati nelle tasche di Stefano, come l’orologio che si era fermato sull’ora della tragedia o il suo portafortuna".

Giorgio Spreafico, 54 anni, con questo straordinario libro dipana per la seconda volta uno dei drammi storici dell’alpinismo. Lo aveva già fatto due anni fa con il volume "Enigma Cerro Torre" che racconta il giallo della prima salita della cima simbolo della Patagonia, contesa tra Cesare Maestri e la cordata lecchese guidata da Casimiro Ferrari. Suo è anche "Orme di vette lontane", una storia dell’alpinismo lecchese nel mondo. 

"Il prigioniero dell’Eiger" è edito da Stefanoni, una casa editrice di Lecco, scelta dall’autore come un segnale della volontà di riavvicinare la città a Claudio Corti, che venne abbandonato in primis dai suoi compaesani. "Doveva essere tutta lecchese l’operazione di recupero di questa storia" ha detto Spreafico.

Sara Sottocornola

Titolo: Il Prigioniero dell’Eiger
Casa editrice Stefanoni
Pp.: 548
Prezzo: 20 euro

 

 

 

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