Rifugio Franco Monzino, dal 1965 prezioso punto di partenza per grandi salite sul Bianco
Il rifugio si trova a 2590 metri di quota vicino al luogo dove sorgeva la Capanna Cesare Gamba, distrutta da un incendio. Tutti i grandissimi dell’alpinismo sono passati di qua
Tra le seraccate dei ghiacciai del Brouillard e del Frêney, ai piedi del versante più selvaggio e severo del Monte Bianco, si erge un rifugio che più di ogni altro racconta la storia dell’alpinismo classico e moderno: il Rifugio Franco Monzino. Situato a 2590 metri di quota, sopra la Val Veny, è la base naturale per chi sogna di salire per le vie leggendarie della Cresta dell’Innominata, del Pilone Centrale del Frêney o dei Pilastri del Brouillard.
Inaugurato nel 1965, il rifugio nasce grazie a Guido Monzino – alpinista ed esploratore milanese, celebre per la spedizione italiana all’Everest del 1973 – che volle donarlo alla Società Guide alpine di Courmayeur in ricordo del padre, Franco Monzino.
Progettato dall’architetto Aldo Cosmacini, l’edificio si distingue per l’originalità architettonica: un volume scuro in lamiera che si avvolge attorno al corpo principale, poggiato su un basamento in cemento armato ornato da grandi aperture esagonali, in equilibrio tra roccia e ghiaccio.
Il Rifugio Monzino ha raccolto l’eredità della Capanna Cesare Gamba (2630 m), piccolo ricovero in legno del 1912 andato distrutto, che fu teatro delle prime conquiste su queste montagne: dalla Cresta dell’Innominata al Picco Luigi Amedeo, passando per le prime salite dei fratelli Gugliermina. Negli anni Trenta e Quaranta qui nascono vie che ancora oggi segnano la storia dell’alpinismo: la Gervasutti-Boccalatte sul Pic Gugliermina, la Ratti-Vitali sulla parete ovest dell’Aiguille Noire de Peutérey, la Ottoz-Hurzeler sull’Aiguille Croux.
Ma è soprattutto dagli anni Sessanta in poi che la capanna sinonimo di grande avventura. Basti ricordare, nel 1961 la tragica vicenda vissuta da Walter Bonatti, Roberto Gallieni e Andrea Oggioni, insieme a Pierre Mazeaud, Robert Guillaume, Antoine Vieille e Pierre Kohlmann, nel tentativo di realizzare la prima ascensione del Pilone Centrale del Frêney. Pochi giorni dopo, Chris Bonington, Don Whillans, Jan Clough e Jan Duglosz riescono a completare l’itinerario che diventerà una delle più famose vie d’alta difficoltà del Monte Bianco. Nel 1967, quindi poco dopo l’inaugurazione dell’attuale rifugio, da qui partono Bertone e Zappelli quando aprono la via con il loro nome sull’Aiguille Croux. Un decennio più tardi il Monzino diventa il punto di riferimento per le scalate su ghiaccio di Gian Carlo Grassi e Gianni Comino e, negli anni Ottanta è la volta delle superbe solitarie invernali di Renato Casarotto sul Trittico del Frêney. Tra gli anni Novanta e Duemila, cresce ulteriormente la popolarità del Monzino sotto la gestione di Franco Garda, storico rifugista e pioniere del soccorso alpino valdostano, che ne fa un punto di ritrovo per l’élite dell’alpinismo internazionale. In questo periodo, infatti, la zona alle spalle del rifugio vede in azione scalatori come Manlio Motto, Patrick Gabarrou, François Marsigny, John Long, Michel Piola e altri, che tracciano nuove linee estreme su roccia e misto, mantenendo viva la tradizione dell’esplorazione.
Una posizione unica
Il Monzino è raggiungibile da Freney (Courmayeur) in circa due ore e mezza, grazie anche a un tratto attrezzato che aiuta a superare dei risalti di roccia levigata. Sorge in una posizione privilegiata tra il Ghiacciaio del Brouillard e quello del Frêney, dominato dalla Cresta di Peuterey, dall’Aiguille Noire, dal Pilastro Rosso e dal Pilone Centrale del Frêney. È il punto di partenza per le ascensioni più impegnative verso la vetta del Monte Bianco, con l’appoggio più in quota dei due bivacchi Eccles (3860 m), anche se dal 2017 quello inferiore (Bivacco Crippa) è chiuso per danneggiamenti.
Il Rifugio, ristrutturato nel 2008, ospita 55 posti letto, una biblioteca e perfino una micro-cantina sperimentale dove si produce lo “spumante più alto d’Europa”. La zona giorno offre uno spazio di incontro per alpinisti provenienti da tutto il mondo, mentre le ampie vetrate lasciano spaziare lo sguardo sui ghiacciai.
Oggi il Rifugio Monzino rimane una meta di fascino speciale: non solo per la sua architettura coraggiosa o per la bellezza dell’ambiente che lo circonda, ma soprattutto perché continua a custodire la memoria di chi, con passione, fantasia e coraggio, ha trasformato le pareti più dure del Monte Bianco in un laboratorio dell’avventura.