Minuscole e affascinanti piante carnivore delle Dolomiti
Non solo crode e rifugi. Ai piedi delle montagne Patrimonio Unesco crescono specie botaniche sorprendenti. Che uccidono per integrare la loro dieta
Piante carnivore tra le Dolomiti? I più sgranano gli occhi nel sentirlo. Perché nell’immaginario collettivo questi vegetali sono associati a libri e film di fantascienza, giganteschi vegetali che agguantano uomini e animali con i loro terribili tentacoli. E comunque, anche per chi non galoppa tanto con la fantasia le piante carnivore sono ritenute presenti solo in ambienti tropicali o nelle foreste equatoriali. Anche se, per la verità, qualche piccolo esemplare, comunque di origini esotica, quale la “pigliamosche” capita di vederlo nella vetrina di qualche fioraio.
E invece sulle Dolomiti, ma anche in altri settori delle Alpi, le piante carnivore crescono eccome. Certo non hanno le dimensioni delle Nepentes, conosciute anche come “ piante a bocca tropicali” che nelle loro trappole larghe fino a quindici centimetri e profonde fino a quaranta, possono contenere anche tre litri e mezzo di fluido viscoso che non lascia scampo anche a piccoli invertebrati, rane, lucertole e topolini.
Le piante carnivore delle Dolomiti hanno dimensioni molto contenute e le loro prede consistono in piccoli insetti, in genere moscerini, o, per le specie acquatiche (perché ci sono anche quelle) in larve, rotiferi e piccoli crostacei come i copepodi.
Le pinguicole
Cominciamo dalle specie più diffuse che sono le pinguicole. Negli ambienti umidi possono salire fino a oltre 2000 metri di altitudine. La pinguicola alpina (Pinguicola alpina) è la specie più comune, presente nei prati umidi, presso le sorgenti e nelle paludi. Ha i fiori bianchi con macchie giallastre alla gola del fiore. Va detto però che i fiori delle piante carnivore non intervengono nel processo di cattura delle prede che, invece, è una prerogativa delle foglie.
In particolare quelle delle tre specie di pinguicole presenti nelle Dolomiti, funzionano come la carta moschicida. Sono tutte disposte in una rosetta basale appiattita sul terreno intorno allo stelo, che può raggiungere il diametro massimo di 10 centimetri. Le foglie sono ricoperte da migliaia di ghiandole appiccicose che con il loro odore e con il loro luccicare sotto i raggi del sole attirano i malcapitati moscerini, che non riescono più a liberarsi. Già Charles Darwin, il famoso naturalista inglese, paragonò le foglie delle pinguicole a uno stomaco temporaneo. Infatti lentamente si arrotolano formando una specie di tubo digerente. Sono le loro migliaia di ghiandole a secernere enzimi digestivi che producono un succo che viene poi riassorbito dalle stesse ghiandole una volta terminata la digestione. E poiché le pinguicole non sono in grado di digerire le parti dure dell’insetto, cioè l’esoscheletro, questo, vuotato si secca e successivamente cade una volta che le foglie si distendono pronte per un’altra cattura. Il meccanismo è lo stesso anche per la pinguicola comune(Pinguicola vulgaris) anch’essa piuttosto diffusa, e per la più rara pinguicola bianco-maculata (Pinguicola leptoceras).
Le drosere
Negli acquitrini e nelle acque stagnanti si possono incontrare le drosere. Sono diventate rarissime visto il delicato equilibrio ambientale che richiedono, sempre più a rischio di essere turbato.
Due sono le specie: la drosera a foglie rotonde (Drosera rutundifolia) e la drosera a foglie allungate (Drosera anglica). Entrambe per catturare gli insetti adottano foglie molto particolari che presentano dei peli ghiandolosi simili a clavette con una goccia di liquido appiccicoso all’apice. L’insetto viene attirato ma basta che tocchi i peli perché questi, perdendo di turgore si incurvino sopra di esso e resti intrappolato. Anche le drosere sono in grado di digerire solo le parti molli e una volta che i peli si risollevano i resti dell’ esoscheletro secco cadono a terra. In molte località queste piante carnivore, segnalate fino a qualche decennio fa, oggi sono estinte.
Le erbe vesciche
La stessa sorte è toccata a un altro gruppo di piante carnivore, le erbe vesciche che vivono in acqua, anch’esse sensibili ai minimi inquinamenti delle acque. Due sono le specie: l’erba vescica minore (Utricularia minor) e l’erba vescica comune (Utricularia vulgaris). Le loro foglie sono sommerse, divise in segmenti filiformi che portano numerose vescicole del diametro di un paio di millimetri. Sono proprio queste vescicole sommerse a intrappolare con un meccanismo di aspirazione a scatto, e poi digerire piccoli crostacei.Purtroppo le erbe vesciche sono quasi ovunque scomparse nei laghi e nelle paludi di pianura, a causa di bonifiche e canalizzazioni, oltre che dell’eutrofizzazione, e c’è il più che fondato sospetto che lo stesso sia accaduto anche in montagna. Il grande botanico cadorino Renato Pampanini segnalava nella prima metà del Novecento l’erba vescica minore nella palude di Antorno a 1853 metri di altitudine (sopra Misurina) e nel lago di Pianozes a Cortina, oggi specchi d’acqua del tutto modificati per esigenze turistiche.
C’è da domandarsi perché le piante carnivore adottino anche questo sistema per “alimentarsi”, un po’ come fanno gli animali, oltre che costruirsi gli zuccheri attraverso la fotosintesi come fanno le altre piante. Ebbene, numerose ricerche sono pervenute alla conclusione che l’apporto supplementare di sostanze nutritive offra la possibilità di ottenere una maggior quantità di sostanze azotate e minerali quali il fosforo e micro elementi visto che queste piante crescono in terreni paludosi o substrati poco evoluti. È un sistema integrativo della fotosintesi ma non la sostituisce.