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Quasi come in Himalaya…

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Un’emozionante e gelida salita invernale al Pizzo Tre Signori, una delle cime più famose e affascinanti delle Alpi Orobie. Ecco il divertente e piacevole racconto dell’avventura vissuta da Marco Caccia e dai suoi amici di Almè la vigilia di San Silvestro. 

Come ormai da tradizione, noi giovani dell’oratorio di Almè, provincia di Bergamo, trascorriamo i giorni attorno al Capodanno in un rifugio Orobico. Quest’anno siamo partiti il 29 dicembre per raggiungere il rifugio Tavecchia, in Val Biandino, sopra il paese di Introbio in Valsassina.

Il Tavecchia è gestito da una famiglia che vive proprio in questo paese ed ha un’esperienza pluriennale nel campo della gestione di rifugi: si nota dall’accoglienza che viene riservata a tutti gli ospiti, e dalle prelibatezze che vengono preparate da loro con semplicità. Insomma, non un rifugio come tanti.
 
La compagnia è formata da 34 giovani tra i quali alcuni appassionati di montagna, vogliosi di scalare la vetta principale di questa valle: il Pizzo Tre Signori.
 
Questa magnifica montagna viene solitamente scalata dal versante bergamasco, partendo da Valtorta o da Ornica salendo la Val d’Inferno. Questa ultima via d’accesso è la "classica invernale", visto che l’altra, che passa dal rifugio Grassi, risulta tecnicamente più difficile e, anche in estate, presenta punti esposti.
 
Decidiamo di tentare la vetta il giorno seguente, il 30 dicembre.
 
La sveglia suona per i 9 temerari che si preparano e fanno una bella colazione. Purtroppo è subito chiaro che il meteo non è dei migliori: il cielo è coperto di nuvole, ma visto che sono molto alte e le cime delle montagne ben visibili decidiamo di partire comunque.
 
Il primo tratto di si svolge su una strada sterrata quasi pianeggiante, perfetta per scaldarsi i muscoli, che dal nostro rifugio ci porta al Madonna delle Nevi e, successivamente, ad alcune baite in ristrutturazione. Qui inizia la salita che, con alcuni tornati, ci porta al Lago di Sasso, alle pendici del maestoso Pizzo Tre Signori.
 
La neve copre il sentiero e pure i bolli che indicano la via, così risaliamo a occhio un pendio che ci dovrebbe portare ad incrociare il sentiero che sale al Pizzo dal rifugio Grassi. Tra dubbi sull’esattezza del la traccia, neve sempre più alta e nessuna "pesta" da seguire, due di noi decidono di tornare indietro e di rinunciare alla salita. Salutati gli amici continuiamo lungo un traverso che ci porta proprio sotto le pareti del Pizzo.
 
Qui bisogna indossare i ramponi e tirare fuori la picca: il passaggio da fare è piuttosto inclinato e non ci si può permettere di scivolare!
 
Oltrepassato il traverso e un tratto di salita quasi verticale, ci dobbiamo fermare un attimo per studiare quale è la via di salita più facile e sicura. Va’ in esplorazione Don Mauro che trova un passaggio che dovrebbe portarci ai canalini finali e quindi alla vetta.
 
Percorriamo questo tratto riponendo tutta la nostra fiducia nell’esperienza del nostro curato e… con grande sorpresa ci ricongiungiamo alle peste delle persone che sono salite al Pizzo nei giorni precedenti. A questo punto non bisogna fare altro che seguirle fino alla vetta, che non è poi così lontana! Purtroppo altri due amici decidono di non continuare per problemi con i ramponi e per il freddo che inizia a farsi sentire sempre di più.
 
I 5 rimasti continuano la salita lungo il tratto finale e più difficile del percorso: adesso bisogna risalire una serie di canalini. Il vento inizia a soffiare forte, alza la neve depositata al suolo e rende il clima davvero gelido. Ci sembra un po’ di essere come gli alpinisti veri che scalano le montagne Himalayane, con la differenza che noi siamo a due passi da casa.
 
Percorsi i canali finali arriviamo sulla cresta che, in breve, ci porta ai 2554 metri della vetta: è fatta! Il meteo non accenna a migliorare anche se la lontana catena del Monte Rosa è ben visibile e il cielo sopra di essa è limpido; la temperatura è gelida, l’acqua che abbiamo negli zaini è congelata nelle bottiglie e perfino il prosciutto del panino è gelato! Facciamo la foto di gruppo e velocemente partiamo per la discesa prima che anche noi facciamo la fine dell’acqua e del prosciutto…
 
Per la discesa decidiamo di seguire le peste lasciate dagli altri escursionisti e ci accorgiamo che la via seguita da loro per la salita è molto diversa da quella seguita da noi. Infatti loro dal Lago di Sasso hanno risalito vari canali che, in maniera diretta, li hanno portati in vetta; il giro che abbiamo fatto noi, invece, ci ha portato in quota in modo più tranquillo evitandoci di bruciare tutte le energie prima del tempo.
 
Arrivati al rifugio ci gustiamo un meritato ed abbondante pranzo mentre raccontiamo la nostra esperienza agli amici che pensano che siamo matti. Il bicchiere di vino che accompagna il pranzo ci aiuta a scaldarci e, ripensando al freddo e alle condizioni meteo con cui siamo arrivati in vetta, viene pure a noi l’idea che forse siamo un po’ matti!
 
Però le emozioni che si provano andando sui monti a camminare sono talmente belle ed uniche che ogni sforzo e fatica viene ampiamente ripagato. GRAZIE MONTAGNA!…

Marco Caccia

 

 

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