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Diga del Gleno: com’è andata?

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Primo Dicembre 1923, ore 7 e 15 di mattina, Val di Scalve. Un violento spostamento d’aria, un boato che rompe il silenzio tra le montagne. Poi la catastrofe. Sei milioni di metri cubi d’acqua, fango e detriti precipitano dalla diga del Gleno a circa 1.500 metri di quota, e in mezz’ora raggiungono il lago d’Iseo, spazzando via tutto quello che incontrano. Una tragedia ancor oggi poco chiara e misteriosa, che il libro di Umberto Barbisan vuole indagare.

Perché la diga è crollata, a soli pochi mesi dal completamento? E’ stato un errore umano, c’è stata frode oppure fu un attentato? Le dinamiche della vicenda sono ancora oggi poco chiare. A cominciare dalle testimonianze raccolte da chi, quel giorno, si trovava sul posto.

"All’alba del primo dicembre 1923, Francesco Morzenti era l’unico sorvegliante della diga di Pian del Gleno (Bergamo) e il principale testimone della catastrofe, ma il suo resoconto dei fatti, rilasciato alla stampa e agli inquirenti, varia alquanto in relazione a quando ed a chi lo dichiarò."

In una delle prime versioni Morzenti raccontò di aver ricevuto una telefonata dalla centrale idroelettrica di Molino di Povo, nella quale gli veniva ordinato di aumentare la portata dell’acqua inviata. Così raggiunse la passerella a valle della diga: lì, sotto i possenti piloni, nel centro della gola, azionava il volano per aprire la valvola della saracinesca di scarico.

Nel buio del mattino d’inverno, improvvisamente, sentì un tonfo, delle vibrazioni. Cadevano sassi come se la terra si stesse muovendo. Poi successe qualcosa di ancora più tremendo: una fessura in uno dei piloni si aprì, allargandosi a vista d’occhio.

Morzenti si diede alla fuga, fu fortunato, si salvò. Ma gli abitanti dei paesi sottostanti non potevano essere pronti a fare altrettanto. Quella tragica mattina, quando i sei milioni di metri cubi di acqua e fango travolsero i centri abitati, le vittime accertate furono 356. Ma per qualcuno i morti furono molti di più,forse 500.

L’enorme massa d’acqua distrusse le centrali elettriche di Povo e Valbona, il ponte Formello e il territorio intorno a Dezzo, Azzone e Colere. Miracolosamente Angolo non fu travolta, ma la piena si abbattè su Mazzunno e Gorzone, toccò Boario e Corna di Darfo, facendo nuove vittime al suo passaggio.

I risultati del processo furono schiaccianti: la colpa era dei costruttori, la diga era fatta male. Così furono il titolare dell’impianto e il progettista e direttore dei lavori, a pagare per tutti. Ma a posteriori la sentenza dei giudici non pare più così certa. Troppe incongruenze, troppe stranezze. Secondo molti i fatti non quadrano.

Da queste premesse parte l’inchiesta di Umberto Barbisan, docente di Tecnologia dell’Architettura e Tipologia Strutturale all’Università di Venezia. L’autore cerca di ricostruire come sono andate le cose, mette a confronto le ipotesi, riprende le testimonianze dei protagonisti.

"Il crollo della diga di Pian del Gleno: errore tecnico?" è uno scritto interessante, che tra gli altri pregi, ha anche quello di scorrere via veloce, tutto d’un fiato. Pubblicato da Tecnologos, è disponibile anche nella versione online.

Valentina d’Angella

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