Alpinismo

Nives Meroi: “il mio meglio non l’ho ancora dato”

La scalatrice tarvisiana racconta le recenti settimane trascorse in Himalaya: tra vette conquistate, ghiacciai divorati dal cambiamento climatico, i troppi elicotteri sotto la testa. E una sorprendente riflessione su sé stessa

“Abbiamo chiamato la via Himalayan trad, riferendoci allo stile di salita: Trad, come tradizione”. Nives Meroi, appena tornata dal Nepal dove con Romano Benet e Peter Hámor, ha aperto una nuova via sulla parete ovest del Kabru I, come al solito tiene ben dritta la barra del timone. Niente scorciatoie, nessuna strizzata d’occhio ai modi di approcciare le salite che sembrano andare per la maggiore.

“Non parliamo di stile alpino”, specifica la Meroi, “ma di un modo autonomo e consapevole di affrontare una montagna. Come si faceva una volta. Oggi molto spesso si delega ogni valutazione a quell’entità astratta chiamata gruppo, non si decide con la propria testa. Si va e basta”. Una modalità lontana anni luce da quella di Nives e Romano.

Della salita al Kabru I sappiamo già (quasi) tutto. Vuoi aggiungere qualcosa?

Tecnicamente non si è trattato di una salita troppo difficile. I problemi sono arrivati soprattutto dalla tanta neve fresca e dei crepacci che ci hanno costretto ad allungare molto la strada ipotizzata dal basso. Le condizioni della montagna ci hanno costretto a piazzare l’ultimo campo a 6.300 metri, molto in basso, quindi. Per questo motivo la giornata di vetta è diventata estenuante. Siamo partiti alle 3 del mattino per tornare alla tenda alle 18. Era buio. Il vento e  una fitta nevicata avevano cancellato le tracce della salita. Abbiamo faticato non poco a ritrovare la tendina, anche perché la neve aveva coperto le strisce catarifrangenti che ci dovevano consentire di individuarla da lontano. Però alla fine ce l’abbiamo fatta”.

Che cosa ti rimane di questa spedizione?
Il piacere di essere stata lì, per prima cosa. Tra le cose belle anche una splendida collocazione del Campo base, una terrazza pianeggiante e con il terreno morbido quasi fosse un campo da golf. Poi la solitudine, l’abbraccio esclusivo con la montagna che sembrava essere lì apposta per noi (e non il contrario). Al contrario ricordo con fastidio il via vai di elicotteri diretti al campo base del Kangchenjunga. Viene da domandarsi se c’è ancora qualcuno che ci arriva a piedi”.

Lo Yalung Peak era l’obiettivo primario della spedizione, invece ancora niente da fare. Cosa è successo?
Non ci abbiamo neppure provato. Quando siamo arrivati era spoglio, con ampie fasce di roccia scoperta. Si notavano però due seracchi molto pericolosi lungo la linea di salita. In ogni caso i nostri dubbi sono svaniti dopo che le nevicate avevano coperto la montagna con uno strato importante di neve instabile. Sarebbe stata una follia. Lì per lì è stata una delusione, però era davvero impossibile, nessun rimpianto quindi. Ci riproveremo? Non lo so, non ne ho ancora parlato con Romano. Certo la linea da salire è fantastica, invogliante. Ma non ne farei un’ossessione. Ci sono tante montagne in giro per l’Himalaya…

Quanto cambia da un anno con l’altro l’aspetto delle montagne himalayane?
Faccio solo un esempio: salendo al campo base siamo passati sotto il Kabru South che avevamo salito nel 2023. Ebbene i primi 500 metri della via, che due anni fa erano tutti neve e ghiaccio questa volta si presentavano come un ammasso informe di sfasciumi. Il riscaldamento climatico lascia il suo segno. Pesante. Proprio partendo da questa vista mi domando come potranno essere tra un anno le pareti che abbiamo visto nelle scorse settimane. Più facili? Più difficili? Non so, ma quasi sicuramente saranno diverse. E le linee ipotizzate per un’eventuale salita saranno da reinventare”.

Nives, qual è il tuo sogno?
Ma che domanda è, ride. Ci pensa qualche secondo, come per decidere se dire o meno quello che ha in testa. Poi, però, si apre: “Vorrei riuscire a dare il meglio di me, e non necessariamente in campo alpinistico. Sento che c’è ancora qualcosa che posso tirare fuori, anche se non so di cosa si tratta. Insomma, sono convinta che il mio meglio non l’ho ancora dato. Vorrei conoscermi di più. Solo così potrei trovare la strada per essere migliore e, forse, più completa”.

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