Alpinismo

Cinque giorni da Londra all’Everest, lo Xenon sembra funzionare

I quattro inglesi dello Xenon sono arrivati in cinque giorni da Londra alla cima dell’Everest. Un trionfo per loro e per l’organizzatore Lukas Furtenbach, se non ci saranno conseguenze sulla salute. Un americano, però, ha fatto di meglio senza Xenon

Lo Xenon sembra aver funzionato. Alle 7.15 del mattino del 21 giugno, gli alpinisti britannici Garth Miller, Alastair Carns, Anthony Stazicker e Kev Godlington hanno fatto sventolare l’Union Jack, la bandiera del Regno Unito, sugli 8848 metri della vetta dell’Everest. Da quando la stessa bandiera ha sventolato lassù per la prima volta, portata da Edmund Hillary e Tenzing Norgay Sherpa, erano passati 71 anni e 355 giorni. 

I quattro, che prima di volare da Londra a Kathmandu avevano inalato lo Xenon in una clinica tedesca, dopo l’atterraggio nella capitale del Nepal hanno raggiunto il campo-base dell’Everest in elicottero, per poi iniziare la salita. Al campo 4, sugli 8000 metri del Colle Sud, hanno dovuto attendere il passaggio di una giornata di vento violento.
L’immagine che li mostra festanti sulla cima è stata scattata dal fotografo inglese Sandro Gromen-Hayes, che li ha accompagnati senza aver respirato lo Xenon. Hanno supportato la spedizione sette Sherpa: Pasang Tendi, Pemba Rinji, Nima Nuru, Gelu, Pemba Rickchhen, Karma, Mingma Chhiri e Phu Dorji. Sappiamo che cinque di questi sette hanno raggiunto la vetta, ma non quali.

Dall’aeroporto londinese di Heathrow alla vetta, Miller, Carns, Stazicker e Godlington hanno impiegato cinque giorni. Le ultime notizie di mercoledì li danno in discesa sulla parete del Lhotse. Grazie a un tracker, nei giorni scorsi, la loro posizione è sempre stata diffusa in tempo reale. Non sappiamo se giovedì, violando i regolamenti del Parco Nazionale Sagarmatha, i quattro alpinisti britannici si faranno prelevare da un elicottero al campo-base avanzato, o se completeranno con i ramponi ai piedi la discesa nell’Icefall, per poi decollare verso Kathmandu dal campo-base. 

Anche se le nuvole non dovessero far volare gli elicotteri, o se nella parte finale della discesa si dovesse verificare qualche intoppo, e i sette giorni previsti dal progetto dovessero diventare otto o nove, la scommessa dei quattro inglesi e di Lukas Furtenbach, che ha organizzato la spedizione, è stata vinta. Per l’imprenditore austriaco, che è anche guida alpina, si tratta di un grande successo.
Lo stesso Furtenbach, che ha seguito l’ascensione dal campo-base, e nei giorni scorsi ha portato altri gruppi di alpinisti sull’Everest, ha scritto che le condizioni meteo la mattina del 21 maggio erano “ventose ma possibili”. 

Lukas Furtenbach ha spiegato ad Angela Benavides di ExplorersWeb che solo i quattro clienti inglesi si erano sottoposti all’inalazione di Xenon. Gli Sherpa e Sandro Gromen-Hayes non ne hanno avuto bisogno, perché si erano già acclimatati in maniera classica, trascorrendo sei settimane sulla montagna.
“Il successo di questa ascensione, più che un exploit alpinistico o sportivo, suggerisce che lo Xenon possa davvero favorire l’acclimatazione. Questo può aprire un dibattito tra gli alpinisti che cercano una salita più veloce e più sicura, sull’Everest o su un’altra cima molto alta”, commenta Benavides, che aggiunge:  “Comunque, è presto per concludere che questo sia un passo avanti miracoloso, perché al successo dei quattro potrebbero aver contribuito l’allenamento, la preparazione atletica, l’uso di ossigeno e altri elementi.
Quanto alla possibilità che altri operatori tentino di entrare nel mercato dello Xenon, Lukas Furtenbach ha precisato che la sua società “ha un’esclusiva” sul protocollo utilizzato. Non è stato reso noto il costo dell’intera operazione, né quale potrebbe essere il prezzo al pubblico delle spedizioni con l’aiuto del prezioso gas.  

Andrew Ushakov, l’americano più rapido degli inglesi

Un’altra notizia che arriva da Kathmandu, però, fa pensare che la corsa alle spedizioni in tempi da record all’Everest sia già iniziata. Ieri la Elite Exped, l’agenzia di Nirmal “Nimsdai” Purja, ha diffuso un comunicato stampa secondo il quale un loro cliente, lo statunitense Andrew Ushakov, è andato da New York alla vetta dell’Everest in 3 giorni, 23 ore e 7 minuti, battendo quindi i quattro inglesi. Se si pensa che per volare da Heathrow a Kathmandu occorrono da 13 ore in su, e che invece dal JFK di New York ce ne vogliono almeno 18, la vittoria dell’americano sembra ancora più netta. 
Secondo il comunicato Ushakov, che non aveva con sé un tracker e non è presente sui social (il suo Instagram non è stato aggiornato per tre anni) è stato assistito dal campo base in su da cinque Sherpa, non ha respirato Xenon e ha usato solo del “tradizionale” ossigeno in bombola.
Nei giorni scorsi, dopo aver raccontato la partenza da Londra dei quattro inglesi, avevamo citato un documento della Commissione Medica dell’Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche, secondo cui lo Xenon “somministrato in una situazione non controllata, potrebbe danneggiare il funzionamento del cervello, compromettere la respirazione o causare la morte”. “Dal punto di vista medico, l’utilizzo senza base scientifica e con rischi sconosciuti per la salute dev’essere respinto”, proseguiva l’UIAA.

Auguriamo naturalmente il meglio a Garth Miller, Alastair Carns, Anthony Stazicker e Kev Godlington. Ma la loro ascensione da record all’Everest potrà considerarsi conclusa non nel momento del loro atterraggio a Heathrow, ma dopo dei test medici esaustivi nei giorni e nelle settimane successive.


Everest, i primi record di stagione

Intorno ai primati di velocità stabiliti dai quattro inglesi e dall’americano Ushakov, l’intera stagione alpinistica sull’Everest inanella cifre da record. Nel momento in cui scriviamo, gli alpinisti arrivati sulla cima (tra Sherpa e clienti) hanno già superato i 500, e il numero delle vittime (4) sembra particolarmente basso. L’indiana Chhonzin Angmo, dell’Himachal Pradesh, cliente della Pioneer Adventure, è diventata la prima donna non vedente a raggiungere la cima. Tashi Gyalzen Sherpa, della 8K Expeditions, è già salito in vetta per tre volte, il 9, il 14 e il 19 maggio. Se riuscirà a compiere una quarta salita, entrerà a sua volta nel Guinness dei primati.  Tra tante vittorie all’insegna delle bombole, sono rari come mosche bianche gli alpinisti che hanno scelto di non utilizzarle. Il più celebre, il veterano (e grande alpinista) russo Valery Babanov è arrivato sui 8848 metri martedì.  La Seven Summit Treks, che organizza la sua spedizione, nel diffondere l’elenco degli arrivi in cima non lo ha indicato come un “no O2 climber”. E in un post sul suo profilo Instagram, il sessantenne Babanov conferma di avere utilizzato l’ossigeno a partire dai 7.500 metri di quota: “Non è stata una decisione facile deviare dal piano principale e indossare una maschera per l’ossigeno. Ma ho sempre considerato questa opzione come ultima risorsa.
Ma solo come ultima risorsa. Negli ultimi 2-3 anni, ho sognato di scalare la cima dell’Everest. Ne avevo bisogno solo per me stesso! Non volevo dimostrare niente a nessuno. Ho passato da tempo quell’età. Come si dice: ognuno ha il suo Everest. Così, ho visto e ricevuto il mio Everest. È nascosto nel profondo della mia Anima. Solo io posso vederlo. Ed è bellissimo!”

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