Storia dell'alpinismo

La morte del chiodo e della vetta

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 Negli anni ’60, l’ambiente un pò stantio e conservatore degli "alpinismi" allora maggiormente in auge (tedesco,italiano, francese), incomincia ad essere agitato da venti di cambiamento provenienti dai paesi anglosassoni. Venti che portano nomi come free climbing o bouldering.

Complice il generale movimento di trasformazione della società che passa sotto il nome di "Sessantotto", le novità iniziano a cambiare anche l’alpinismo. Novità che comunque sorgo accanto ad un’attività degna del massimo rispetto, forse un pò appiattitta: ad esempio, pensiamo alle grandi artificiali di Loss e di Enrico Mauro e Mirko Minuzzo, o alle invernali dei fratelli Giovanni e Francesco Rusconi.

Come in tutta la società le nuove tendenze provenivano dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, anche in montagna é l’alpinismo anglosassone a fungere da modello.

Gli alpinisti inglesi avevano già fatto la loro ricomparsa sulle Alpi, ai massimi livelli, alla fine degli anni 50. Basti pensare, nel gruppo del Monte Bianco, alla prima salita del pilastro centrale di Freney di Chris Bonnington e Don Whillans o alla via di Joe Brown e Don Whillans sull’Agiuille du Blatiere.

Quelli americani invece, avevano fatto una rapida – ma estremamente incisiva – apparizione, portando dalla lontana Yosemite una ventata di novità nel gruppo del Bianco, forse al tempo non appieno compresa nel su valore. Parliamo di Royal Robbins, che sul Petit Dru ha aperto la diretta americana con Gary Hemming nel 1962 e la direttissima americana con John Harlin nel 1965. Della prima salita alla Sud dell’Aiguille du Fou, di Tom Frost, Stewart Fulton, e ancora Harlin e Hemming, nel 1963 (nella foto).

Bisogna però attendere qualche tempo perchè il fenomeno si imponga definitivamente. Le caratteristiche principali di questo “rinascimento” dell’alpinismo, che comportò una vera rivoluzione tecnica, tecnologica, etica e linguistica, sono le seguenti:

Free Climbing: rifiuto, più o meno radicale, dell’arrampicata artificiale, tacciata come oltraggio alla montagna ed inganno, e sublimazione dell’arrampicata libera come mezzo espressivo.

Clean Climbing: rifiuto del chiodo ad espansione e notevole ridimensionamento dell’uso dei chiodi tradizionali a favore delle moderne protezioni veloci (stopper, eccentrici, poi friends, e così via), nella volontà dichiarata di lasciare intatta la parete.

Bouldering: rivalutazione delle strutture di bassa quota ed addirittura dei massi come attività fine a se stessa (sassismo o boulder).

Dagli Stati Uniti iniziava ad arrivare anche un estremo tecnicismo (artificiale estrema, micronut, chopperhead, cliff, rurp, etc), che in quel paese ben si sposavano con le altre tendenze, ma che in Europa faticarono a trovare una loro collocazione.

In generale, si tratta di una grande rivalutazione delle capacità fisiche e tecniche dell’alpinista, ma allo stesso tempo del rifiuto delle tradizionali componenti dell’alpinismo: fatica, paura, freddo. Inizia insomma a distinguersi, all’interno dell’alpinismo, il dualismo tra arrampicata e alta quota.

 

Ermanno Filippi 

 

Testo di Ermanno Filippi – Istruttore di Alpinismo CAI. Tratto da "Brevi cenni di storia dell’Alpinismo", dispensa della Scuola di Alpinismo del CAI Bolzano

Foto: John Harlin sulla cima dell’Aiguille du Fou. Courtesy of Tom Frost e www-sul.stanford.edu.

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