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La prima salita al K2

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Cinque tentativi di scalare il K2 furono effettuati dal 1902. Ma a parte la spedizione del 1909 guidata da Luigi Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi, che scoprì la via di salita lungo lo sperone est della montagna, non ci sarebbero stati grandi risultati fino al 1954, con la conquista italiana.

Il 31 luglio la spedizione guidata da Ardito Desio raggiunse la vetta. La notizia giunse in Italia a mezzogiorno del 3 agosto, e fu accolta con grande entusiasmo e come simbolo della rinascita del paese nel dopoguerra.

Da quel momento il K2 divenne per tutti la montagna degli italiani. I due alpinisti che raggiunsero effettivamente la vetta furono Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, anche se il merito va sicuramente all’intero gruppo, guidato con piglio di ferro da Desio.

Attitudine quasi militare, giustificata dalla complessità dei problemi da affrontare e dalla responsabilità di un’impresa che era stata caricata in Italia di molti significati extra-alpinistici. Il segreto di gran parte del successo sta proprio qui.

La spedizione fu inizialmente segnata dalla tragedia della morte di Mario Puchoz, una guida di Courmayeur colpita da polmonite complicata da edema polmonare. L’insistenza di Desio nel far continuare immediatamente le operazioni finì per creare una significativa frattura fra il capo spedizione e il gruppo di alpinisti, soprattutto il cosiddetto "gruppo di testa", composto da Compagnoni, Lacedelli, Walter Bonatti, Erich Abram e Ubaldo Rey.
 
Abram, Bonatti e Rey compirono il grosso del lavoro di messa in opera delle corde fisse sulla cosiddetta Piramide Nera, la difficile zona rocciosa poco sotto i 7.000 metri che contiene il famoso Camino Bill.

Da un campo situato poco sopra la spalla, a 8050 metri, Compagnoni e Lacedelli attaccarono la salita finale, resa ancora più difficile dall’esaurimento delle bombole d’ossigeno poco sotto la vetta. Al ritorno dalla cima, entrambi gli alpinisti erano in condizioni psicofisiche difficili, e Compagnoni riportò gravi congelamenti alle mani, per i quali furono necessarie varie amputazioni.

Una volta in Italia si scatenarono polemiche sul mancato inserimento nella relazione ufficiale di Ardito Desio dell’episodio di cui furono protagonisti Bonatti e l’hunza Mahdi. I due, dopo aver portato vicino al campo finale le bombole d’ossigeno per Lacedelli e Compagnoni, non trovarono all’appuntamento i compagni e furono costretto a bivaccare all’aperto a quasi 8.000 metri.

Alcuni sostennero che, essendosi scaricate le bombole d’ossigeno circa 200 metri sotto la vetta, lo sforzo di Bonatti non sarebbe stato così fondamentale. Dal canto suo, Bonatti ha cercato di dimostrare che in realtà almeno una delle bombole era ancora funzionante al momento dell’arrivo in vetta facendo alcune deduzioni basate su una foto scattata dalla cima.

L’effetto della controversia è stato che la prima salita al K2 è ora ricordata forse più per le polemiche che per il suo grande valore alpinistico.

Nel maggio 2004 tuttavia, con l’avvicinarsi della spedizione italiana celebrativa del cinquantenario del primo successo sul K2, una commissione storiografica voluta dal Cai, ha riconosciuto ufficialmente il ruolo svolto da Bonatti.

D’altro canto, in un libro uscito sempre nel 2004, Lacedelli, pur riconoscendo che Bonatti non fu trattato in modo corretto durante la spedizione nell’episodio del bivacco forzato, ha comunque ribadito che la cima fu raggiunta con le bombole ormai svuotate. 
 

 
Meroni Massimiliano

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