Storia dell'alpinismo

La conquista della nord dell’Eiger (4)

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La nuova giornata che si apre sulla nord potrebbe essere quella decisiva. Le difficoltà fino alla vetta sono ignote, certo. Ma ormai il dislivello che separa i quattro dall’impresa è ridotto a poche centinaia di metri. E il morale è alto, sebbene la neve sia scesa per tutta la notte.

Un paesaggio invernale accoglie gli alpinisti al risveglio. Mentre la bufera ruggisce sulle creste sovrastanti. Per Kasparek il dolore alla mano sembra diminuito. Ma gli alpinisti sono già provati da 3 giorni di parete.

Le condizioni della roccia sono pessime e si potrebbe in teoria aspettare il bello, anche perchè ci sono viveri ancora per diversi giorni. Ma sarebbe inutile: se anche spuntasse il sole la parete rimarrebbe impraticabile ancora per chissà quanto tempo. Si deve partire, con la tenacia e la costanza degli ultimi giorni.

La decisione però è drastica: bisogna alleggerire gli zaini, gettando nel vuoto tutto ciò che è superfluo. I viveri in eccesso sono i primi a volare nell’abisso. E dire che negli anni Trenta la maggior parte della popolazione non se la spassava economicamente.

Ma si parte, verso l’alto. Verso la salvezza. La gloria. E subito iniziano le difficoltà. Conduce sempre Heckmair (nella foto) che si getta d’impeto in un camino spazzato dalle slavine. Dopo aver attentamente studiato la frequenza di caduta – ed essere volato per due volte – in poco tempo l’alpinista riesce a guadagnare una crestina rocciosa sulla destra.

Da lì in su il ghiaccio si fa sempre più sottile e i chiodi stentano a tenere. I quattro sono tutti legati insieme: una caduta su un terreno così infido vorrebbe dire trascinare gli altri nel vuoto. Heckmair, tuttavia, è costretto a forzare i passaggi anche senza assicurazione. La parola d’ordine è: fare in fretta. Anche perchè la neve scende sempre più fitta e le slavine sono sempre più frequenti.

Proprio in uno di questi passaggi si sfiora la tragedia. Il tedesco è appeso alla piccozza e a un chiodo che è entrato solo con la punta. I piedi sono uno sull’altro, vista l’assenza di un qualunque piccolo appoggio. All’improvviso chiodo e piccozza cedono. Ed Heckmair vola di sotto.

In una frazione di secondo Vorg recupera quanta più corda possibile. Ma non può evitare che il tedesco gli piombi addosso. E che la punta di un suo rampone gli trapassi la mano. I due scivolano insieme per qualche metro ma riescono comunque a fermarsi.

Le condizioni di Vorg non sembrano gravi. Una fasciatura stretta, qualche goccia di cardiotonico, due zollette di zucchero e si riparte. Anche perchè gli alpinisti sono al centro del canale e la slavina incombe. Gli austriaci, più in basso, sono avvolti dalla nebbia, e non si sono accorti di nulla.

La progressione dei protagonisti diventa ora una lotta contro il tempo. Heckmair in alcuni punti tira letteralmente su di peso Vorg, ferito. Così come fa Harrer con Kasparek. E piano piano, sempre avvolti dalla bufera, i quattro guadagnano quota.

Intanto, due gruppi di guide locali hanno raggiunto la vetta dalla via normale. Gridano dalla cima ma non ottengono risposta. Sono certi che là sotto sia accaduto il peggio. Decidono quindi di ridiscendere. D’altronde, pensano, nessuno ha potuto resistere a quelle condizioni atmosferiche sulla nord dell’Eiger.

In realtà, il team tedesco è vivo e sta continuando a salire. Sentono le grida di richiamo ma una risposta nel vento può essere fraintesa. Euna volta ripartite, le squadre di soccorso sono perdute. i quattro non rispondono, dunque.

Dopo sforzi immani, la pendenza del canale va diminuendo. Finalmente, verso mezzogiorno, i quattro si trovano sul nevaio sommitale. Ripido anch’esso, ma dopo le fessure appena superate, quasi pianeggiante ai loro occhi.

Ma come il resto della parete nemmeno questo è uno scherzo. La neve che cade incessante non si è saldata alla parete e continua a scivolare. Da qui nascono le slavine che spazzano la parete fino alla base. Heckmair è sempre in testa. Conduce, recupera e scalina quando gli sembra necessario. Mutare l’ordine della cordata, d’altronde, sarebbe un’inutile perdita di tempo.

Il pendio sembra infinito. Le ore passano e la neve sferza ora di traverso il nevaio, spinta dalla bufera. Ad un tratto, nella nebbia, Vorg, che segue Heckair, scorge delle macchie scure più avanti. Ma in basso, laggiù in fondo! Sono le rocce del versante sud dell’Eiger: i primi uomini usciti vivi dalla nord ora stanno rischiando di precipitare dall’altro versante, oltre la cornice sommitale.

Accortosi appena in tempo, Heckmair con un balzo torna indietro. Sono le tre e trenta del 24 luglio 1938. quando gli alpinisti sono sulla cima dell’Orco. Una delle pareti più pericolose e difficili delle Alpi è stata vinta.

Ma non è il momento di saltare di gioia o di allentare la tensione. La bufera infuria e il gelo è intenso. I quattro sono costretti a stare rannicchiati. E ora bisogna trovare la via di discesa. Una stretta di mano è più che sufficiente.

Sulla parete ovest oltre un metro di neve bagnata ricopre le placche ghiacciate. E cercare l’equilibrio è impresa ardua. Heckmair cede il comando ad Harrer, che conosce la via. Ma trovare i passaggi al primo colpo non è certo semplice in quella situazione.

Anche perchè nel frattempo il tedesco è crollato. La tensione nervosa che lo ha sorretto per giorni e notti in parete ha lasciato il posto al vuoto più profondo. Segue muto gli altri tre, cammina in modo meccanico.

Gli si è rotto l’elastico dei soprapantaloni che continuano a cadere. E’ incredibile come un uomo che ha condotto alla salvezza tutti quanti con forza straordinaria, che ha reagito fulmineamente alla caduta nel canale che ne avrebbe decretato la fine, che ha resistito all’urto di valanghe mortali, che ha scalato strapiombi di ghiaccio nella bufera, sia sull’orlo della disperazione per le bizze di un elastico. Ma è una reazione che rivela un’umanità eccezionale, profonda.

Intanto la neve si è tramutata in pioggia. La quota si è fatta sempre più bassa. Più sotto si scorgono dei punti scuri che stanno salendo. Che cosa cercano? Le domande si affollano nella mente provata dei quattro alpinisti. E il desiderio di un letto, di un bagno caldo, di una cena decente, si fa sempre più intenso.

All’improvviso, dinnanzi, compare un ragazzino. "Siete scesi dalla parete?" è la sua domanda. E, quasi senza aspettare la risposta, si volta e inizia a correre urlando "Vengono! Eccoli! Sono tornati!"

In un lampo i quattro sono circondati da una folla festante. Guide, amici viennesi e tedeschi, membri del Soccorso, giornalisti, curiosi. Tutti uniti nella gioia, tutti a prodigarsi e a fare a gara per invitare gli alpinisti a riposare, per una cena, un bagno caldo.

E finalmente anche loro possono lasciarsi andare. Via la tensione e la paura. C’è solo spazio per un immenso sollievo, la felicità indescrivibile e la consapevolezza dell’impresa realizzata.

Scrive Harre nel suo libro "Parete Nord": "Si abbiamo compiuto un viaggio in un altro mondo e siamo tornati, riportandone la gioia di vivere e di stare in mezzo ai nostri simili. Sull’Eiger abbiamo imparato che gli uomini sono buoni ed è buona la terra su cui siamo nati".

 
Massimiliano Meroni
 

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