Quando era l’arsuoi a liberare le strade dalla neve
Le prime copiose nevicate riportano in primo piano il ruolo degli spazzaneve. Che una volta erano autentici aratri di legno trainati da cavalli
Quando nevica, soprattutto se le precipitazioni sono consistenti, una priorità è quella di tenere sgombre le strade dalla neve. E non c’è dubbio che questa sia una priorità, visto l’ovvia necessità di garantire i collegamenti, in particolar modo per quanto riguarda le urgenze. Questo è vero ovunque, non solo in montagna dove la convivenza con la neve è data per scontata. Ma in un mondo in cui tutto corre veloce talvolta si pretenderebbe che i fiocchi di neve fondessero appena toccano terra, magari (come accade in qualche località per alcuni brevi tratti di strada) per merito di una resistenza elettrica posta sotto l’asfalto.
E allora proviamo a immaginare un passato non così lontano, meno di un secolo fa, diciamo fino alla metà del Novecento, quando nelle vallate alpine per aprire le strade al transito durante e dopo una nevicata, non c’erano altro che uomini ben temprati ai rigori dell’inverno, cavalli robusti e un arnese, ispirato all’aratro, fatto di legno e ferro.
Quel fendineve di legno e ferro chiamato arsuoi
Per entrare nell’atmosfera di allora vorrei raccontare come avvenivano le operazioni di sgombero della neve in Ampezzo e lungo la strada di Alemagna che collega Cortina a Dobbiaco, utilizzando le preziose informazioni desunte dagli scritti di Illuminato de Zanna (1896-1988), studioso e storico locale. Ma operazioni analoghe si svolgevano anche nelle altre vallate dolomitiche.
Quando nevicava entrava in funzione l’arsuoi, che in ladino significa aratro. Si trattava appunto di un fendineve a forma di V fatto di robuste assi di larice con rinforzi di ferro, trascinato lungo le strade da una nutrita serie di coppie di cavalli. Si andava dai 12 ai 18 animali. “E quando la neve era pesante e sciroccosa – scrive de Zanna- venivano fatti camminare davanti quattro cavalli per calpestarla rendendo più facile il cammino a quelli che trainavano il fendineve”.
Ma l’arsuoi andava indirizzato lungo la strada, accompagnato nelle curve, per cui veniva manovrato da uomini ben bardati che spesso si sedevano sul vomero per farlo aderire meglio alla strada col loro peso. Vestivano mantelli in panno grezzo, cappelli e ghette di lana infeltrita per proteggersi dal freddo e dalla neve. Ai piedi calzavano scarpe di pelle con suole chiodate che inevitabilmente finivano per inzupparsi d’acqua.
Quando c’era sentore di abbondanti nevicate, che veniva percepito anche senza le sofisticate strumentazioni meteorologiche di oggi, il segnale era la campana a martello i cui rintocchi indicavano a chi possedeva un cavallo di concederlo per collaborare allo sgombero della neve. E i cantonieri dovevano avvertire i proprietari di foraggiare e abbeverare gli animali due ore prima di entrare in servizio.
Al calare del buio poi la scena era ancora più suggestiva se non fosse per la dura fatica di lavorare in condizioni ancor più disagiate. Davanti camminava un uomo con una lanterna e si avanzava tra il tintinnio dei campanelli posti sui finimenti dei cavalli dove in apposite guaine erano inserite delle fiaccole. Anche gli uomini del convoglio, uno per ogni coppia di cavalli, ne tenevano una in mano. Nonostante il lavoro fosse faticoso era comunque un’occupazione che dava un certo guadagno ai contadini, per tirare avanti durante i mesi invernali.
Gli spazzaneve moderni, dal XVIII secolo a oggi
L’avvento dei mezzi motorizzati non ha fatto andare subito in pensione l’arsuoi. A Cortina fino ai primi anni Sessanta si vedeva ancora girare per le strade questo attrezzo sia pur trainato da trattori. Per quanto riguarda la storia degli spazzaneve, l’archivio dell’Accademia delle Scienze di Torino conserva due progetti settecenteschi di macchine per sgombrare dalla neve le strade sabaude. Uno, del 1796, è del nobile Filippo Grimaldi del Poggetto (1767- 1817), che fu sindaco di Torino l’anno precedente e precettore di Carlo Alberto di Savoia. L’altro è del canonico Giovanni Carlo Cuttica di Quargnento, un paesino dell’Alessandrino, che appare preoccupato dalla mancanza di cibo che le strade ingombre dalla neve potrebbero arrecare a poveri e indigenti.
Pare che il primo spazzaneve con la relativa apparecchiatura per montarlo su un autocarro sia stato quello inventato nel 1911 da David Munson, il cui brevetto è conservato in una biblioteca di Boston. E altri inventori negli Stati Uniti, dagli anni Venti, brevettarono i loro modelli migliorativi di spazzaneve. Mentre in Europa furono i due fratelli Hans ed Even Øveraasen, in Norvegia, a costruire nel 1923, un primo spazzaneve da montare su di un’automobile.
Ma già gli spazzaneve erano stati utilizzati sulle linee ferroviarie. Valga l’esempio del grande e magnifico spazzaneve rotante a vapore della linea del Gottardo, costruito nel 1895, secondo il sistema rotante americano Leslie. Soffiava la neve lateralmente fino a 90 metri di distanza sollevandola fino a 18 metri. Ebbe una vita lunghissima, in servizio fino al 1982 e poi a riposo nel museo dei trasporti di Lucerna.
Oggi esistono spazzaneve di innumerevoli modelli più o meno sofisticati e di tutte le dimensioni, con lame o turbine (frese) per qualsiasi genere di utilizzo, dalle grandi direttrici stradali alle stradine di montagna, dalle ferrovie agli aeroporti. Capita ancora però che in occasione di grandi nevicate qualche villaggio, qualche casa isolata e talvolta anche qualche centro più importante non sia raggiungibile attraverso le vie di comunicazione. E allora vengono in mente i tempi dell’arsuoi e di come il vecchio badile resti sempre uno strumento intramontabile.