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Ascensioni compiute o emozioni vissute? La smania di esibizione prevale sui sentimenti più intimi

Ci si compiace per una vetta raggiunta e si fa di tutto per farlo sapere al mondo, reale o social che sia, spesso preoccupandosi anche di porre traccia evidente del proprio passaggio. E ci si dimentica di quello che un’escursione ha lasciato dentro di noi

Il desiderio di collezionare le cime e lasciar traccia del proprio passaggio divampa sin dagli albori dell’alpinismo.

Pare che il celebre Paul Grohhmann, tra i primi esploratori e conquistatori di vette delle Dolomiti, raggiunto nel 1869 il maestoso Sassolungo, abbia lasciato, oltre al consueto ometto di pietra, una bandiera e sopra una roccia alcuni disegni con il nome suo e delle sue guide!

Segni, ometti, vessilli, bottiglie con biglietti, scatole di metallo inchiavardate alla roccia con libro di vetta, croci, madonnine, campane hanno  nel corso dei decenni segnato il punto più alto di innumerevoli cime.

In tempi più recenti, l’esempio provvidenziale di alcuni fuoriclasse dell’alpinismo, ha in parte contribuito a ridurre l’invasione. Racconta Messner: “Bandiere sulle montagne non ne porto: sulle cime non lascio mai niente, se non, per brevissimo tempo le mie orme.”

La pratica di “marchiare” la propria conquista si è quindi trasferita sulla carta. Chi non ha mai vergato, escludendo i nativi digitali, le pagine un po’ sgualcite del libro dei visitatori del rifugio o di un bivacco, quello con la classica copertina blu?

Se da un lato indicare la propria destinazione ha una ragione utile ad orientare le ricerche in caso di mancato rientro, si nota che il compiacersi dell’ascensione compiuta è un tratto onnipresente.

L’avviso in calce al libro dei visitatori “chi sgorbia con scritte frivole il libro – che è la storia del rifugio – tramanda la meschinità del proprio spirito” scoraggiava un poco la tentazione di esagerare, aggiungendo alle relazioni alpinistiche e resoconti di salita, scritte e disegni a volte di dubbio gusto. A dire il vero forse le più interessanti, in grado di ricostruire lo spirito e la passione dei frequentatori della montagna, nel bene e nel male…

Quel vortice di emozioni che ci attraversa costantemente mentre esploriamo le cime, che costituisce il motivo migliore per cui continuiamo a farlo, a prescindere dalle bandierine piantate.

Curioso notare che, attraverso l’esplosione dei social network, l’infinita amplificazione dei contenuti di divulgazione possibili, la narrazione rimane in gran prevalenza incasellata nel freddo carnet delle “ascensioni compiute”, dove, con dovizia di particolari, esibiamo salite, pose, mappe, tracce digitali, lunghezze, tempi e difficoltà.

Di quel che la montagna ha lasciato in noi si perde traccia?

Meglio ascensioni compiute o emozioni vissute?

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Un commento

  1. c’è di peggio, c’è chi strappa e brucia un libro di rifugio dall’immenso valore storico solo, probabilmente, per accendere una stufa.
    Fino al 1985 ca. alla capanna Guglielmina/Valsesia sulla parete est della Parrot c’era un libro/diario con copertina rigida e in sovraimpressione lo stemma del CAI, all’interno data di partenza 1948, poi le pagine talvolta di alpinisti illustri e i commenti di scrittori, come per es le tante di Giovanni Turcotti.
    Nel 1988 ne trovai la metà, essendo la parte più vecchia, copertina compresa, finita…dove?
    Chiesto al CAI Varallo Sesia, nessuna risposta.

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