Adesivi su croci di vetta e cartelli: multe in arrivo
Mancano il buon senso e il rispetto per l’ambiente? L’articolo 639 del Codice penale permette di punire gli imbrattatori. Nell’attesa, togliamo tutto
“Sai che sui social c’è un tizio che pubblica montagne di foto di adesivi staccati dalle croci di vetta o dai cartelli sui sentieri”? La domanda risuonava in una notte di settembre di quattro anni fa sul sentiero che sale al Col de la Crosatie, in Valle d’Aosta. “Sì, lo so, quel tizio sono io”, risposi alla collega che con me (e altri) stava effettuando il servizio di scopa al Tor des Géants. “Perché lo fai?, ribattè Veronica.
I personalissimi motivi che da lungo tempo mi portano a rimuovere tutto quello che imbratta la montagna si possono sintetizzare in un semplice piacere estetico. Non faccio prigionieri, non c’è uno sticker più indecente dell’altro. Se non c’è troppa gente in giro – capita di dover discutere con il fenomeno di turno anche quando si fa pulizia – io stacco. A mano, oppure con l’aiuto di una spatola ormai sempre nello zaino. E mi piace immortalare il bottino anche allo scopo di esporre al pubblico ludibrio l’imbrattatore di turno.
La domanda da porre sarebbe, però, un’altra: “Perché migliaia di persone si mettono nello zaino un pacchetto di adesivi con i quali lasciare traccia arrogante del loro passaggio”? Risposta scontata: è il meccanismo animale del marcare il territorio che spinge qualcuno a insozzare il bene comune e a diventare indesiderato compagno dell’escursione.
Chi sono gli imbrattatori?
La compagnia degli imbrattatori è trasversale, gente di ogni tipo si autoinvita alla festa. Ci sono gli ultrà del calcio che devono ricordare a tutti la potenza della loro squadra del cuore, i soci di motoclub (sì, anche loro, magari a due ore di cammino dalla più vicina strada asfaltata), i proprietari di pub e birrifici di fondovalle, i titolari di studi di tatuaggi. Fateci caso, almeno una di queste categorie è sempre rappresentata. Politica e religione fanno di tanto in tanto la loro comparsa, ma sono in netta minoranza. Rara è anche la comparsa di adesivi di aziende del settore. A colpire – e a indurre a ulteriori riflessioni – sono piuttosto gli adesivi appiccicati da coloro che più dovrebbero avere a cuore il rispetto per la montagna: sezioni del CAI, scuole di alpinismo, organizzatori di trekking, guide ambientali. I loro stickers fanno più male degli altri. Memorizzate quei nomi, poi girategli alla larga.
Lo zoo delle Apuane e il pragmatismo lombardo
La Toscana regala ampie soddisfazioni al cacciatore di adesivi. In particolare la catena delle Alpi Apuane. Le sue croci di vetta, le scatole metalliche dei libri firma, i pali che sorreggono la segnaletica raccontano, anzi illustrano, un forte amore per gli animali: “Mufloni apuani”, “Aquile apuane”, “Lupi apuani” (con la variante Lupi di vetta, forse per quelli che si sentono bravi”), “Condor apuani”, “Caproni apuani” popolano cime e sentieri. I sempre presenti “Bastardi apuani”, forse non vanno ascritti a questa tipologia, a meno di non voler inserire nel gruppo anche gli animali a due zampe. Anche la pur sacrosanta lotta contro la devastazione causata dalle cave di marmo popola, indebitamente, croci e cartelli.
Nel Triangolo Lariano, affacciato sul Lago di Como, va in scena la variante business-oriented proposta dagli escursionisti lombardi: negozi e professionisti della montagna non esitano a stampare sui propri adesivi anche indirizzi mail e numeri di cellulare. Il messaggio deve arrivare forte e chiaro all’escursionista, che in questo caso è fortemente targettizzato, come direbbero quelli bravi. Resta il fatto che, dell’Osteopata in vetta e delle Ostetriche d’alta quota si può fare tranquillamente a meno.
Eviterei volentieri di continuare a staccare anche i ricordi di “La tetta in vetta”, simpatico e numeroso gruppo di escursioniste lombarde (senza fini di lucro) che pare aver fatto dell’arricchimento dei produttori di adesivi una missione.
Multe in arrivo! Cosa dice il Codice penale
Nelle scorse settimane ha fatto scalpore la multa di 500 euro che la Procura di Belluno ha affibbiato a un’attivista ambientale reo di avere imbrattato con una piccola scritta a vernice il pilone di una cabinovia a Cortina. In quel caso si trattava di un messaggio di protesta contro la costruenda pista da bob olimpica, ma l’articolo 639 del Codice penale non fa differenze sui contenuti.
Il reato di Imbrattamento e deturpamento di cose altrui è così inquadrato: ”Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 103. Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. [Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro]”.
Rimane da vedere se qualcuno vorrà prendersi la briga di denunciare gli imbrattatori e portarli quindi a processo. Individuare i responsabili non è difficile, ma certamente i tribunali hanno cose più importanti di cui occuparsi. Forse, però, qualche provvedimento della magistratura farebbe passare la voglia a molti di colorare – e disseminare di plastica – le montagne a loro piacimento.
Non comprendo il passaggio: ‘Politica e religione fanno di tanto in tanto la loro comparsa, ma sono in netta minoranza.’ Le innumerevoli croci di vetta che cosa rappresentano se non la religione? Con un minimo di onestà intellettuale l’autore dovrebbe capire che ferro e cemento sono ben peggio di qualche adesivo che decora la bruttura di certe installazioni. Se poi il nostro paladino si farà carico di portare via anche le croci, ben contento di portargli flessibile e mazzetta per smantellarle ;-).