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100 anni fa nasceva la prima funivia turistica di Cortina

L’impianto saliva dal centro del paese fino a Pocol. I lavori iniziarono nel 1924, poi la funivia rimase in funzione fino alla metà degli anni 70.

Tutti la chiamavano teleferica. Fu la prima funivia di Cortina d’Ampezzo e fece la sua comparsa giusto cento anni fa. I lavori per la sua costruzione iniziarono nel 1924 e nell’estate del 1925 venne inaugurata con la benedizione del patriarca di Venezia Pietro La Fontaine. L’avveniristico, per l’epoca, impianto saliva dalla piazza antistante la chiesa parrocchiale, nel pieno centro del paese, al Belvedere di Crepa (Pocol). Un vero e proprio balcone naturale affacciato sulla conca ampezzana, da cui si gode, pur non essendo la quota molto elevata (1539 m), un panorama spettacolare. Pare di essere sul loggione di un grandissimo teatro dove la platea in basso è il paese, e il fondale una carrellata di montagne: il Pomagagnon, il Cristallo, il Sorapiss, l’Antelao, i cui profili disegnano la linea d’orizzonte.

Giungere lassù al Belvedere, dopo otto minuti di “trasvolata” aerea appesi alle funi, sui prati e i villaggi del versante destro della conca di Cortina, era un’esperienza indimenticabile, da non perdere. Nulla di simile era stato mai visto in Ampezzo.  La Grande Guerra aveva utilizzato ben più primitive teleferiche a uso militare, per portare munizioni, materiale bellico e viveri ai soldati arroccati sulle montagne del fronte dolomitico. Erano passati pochi anni dalla fine del conflitto e questa ardita (per allora) realizzazione, consolidava le basi per un nuovo rilancio del turismo estivo e invernale.

 

All’inizio era senza vetri

La funivia superava un dislivello di 328 metri e la lunghezza del percorso era di 1920 metri. Nei primi anni di esercizio la cabina era aperta, cioè senza vetri. Lo si vede bene nelle foto d’epoca, nelle quali si vedono uomini in abiti eleganti, con fifì e fazzoletto nel taschino e signore incuranti della corrente d’aria, che si sporgono dai parapetti della cabina, sotto gli occhi del vetturino in cravatta e cappello. Era garantita una corsa ogni ora, con ulteriori corse supplementari se ci fosse stata una maggiore affluenza di passeggeri. Il servizio andava dalle ore 8 alle 12 e riprendeva dalle 14 alle 17.

Dalla stazione di partenza (tutt’ora esistente, ristrutturata e adibita ad altri usi) la cabina, dapprima rettangolare e nei successivi ammodernamenti dell’impianto divenuta tondeggiante, attraversava il torrente Boite, poi sorvolava i prati e i campi tra i villaggi di Crignes, Meleres e Col. Le funi erano sostenute da due grandi tralicci di ferro posti lungo la campata, che venivano chiamati cavalletti, nel superare i quali lo stomaco saliva in gola per il dondolio che subiva la cabina. Il tratto più spettacolare era quello in cui, elevandosi più decisamente dal suolo, la cabina passava sopra il bosco per poi avvicinarsi alle rocce della Crepa ed entrare nella stazione d’arrivo.

Un barone la finanziò. Ma poi venne messo al bando in quanto ebreo

Ad accollarsi la maggior parte dei costi della  costruzione fu il barone Carlo Franchetti (Vienna15 gennaio 1896 – Vittorio Veneto28 settembre1953), imprenditore ma anche ottimo scalatore, esploratore e speleologo che  contribuì con molteplici iniziative allo sviluppo turistico di Cortina. Con il suo congruo contributo vennero tra l’altro costruiti il trampolino per il salto con gli sci di Zuel (allora in legno) e, nel 1939, l’arditissima Funivia del Faloria inaugurata da Edda Ciano Mussolini, primogenita figlia del Duce. Ma in quella occasione, con profonda ingratitudine, tutti si guardarono bene dal menzionare Franchetti: era infatti stato inserito nella lista dei 14 ebrei che avevano proprietà o risiedevano a Cortina.
La funivia diede un impulso decisivo alla pratica dello sci e le piste di Pocol divennero per tutti (principianti e anche sciatori più avanzati) le più frequentate di Cortina. Prendere la funivia significava anche risparmiare un’ora anche per chi effettuava passeggiate ed escursioni nelle zone della Tofana, Falzarego, Nuvolau, Giau e Croda da Lago.

 

La fine negli anni ‘70


L’impianto rimase in funzione no a metà degli anni Settanta del secolo scorso. A decretarne la fine contribuì il fatto che con quella funivia non si raggiungevano direttamente le piste da sci. Dalla stazione sommitale si doveva camminare per almeno 10/15 minuti, sci in spalla, prima in salita poi in discesa, fino agli alberghi e alle piste di Pocol. Intanto lo sci si stava affermando sempre di più nella conca d’Ampezzo e Pocol si raggiungeva più comodamente in auto o con le sciovie costruite nel frattempo. Sabato 24 agosto a Cortina si ricorderà quella mitica funivia, che diede avvio alla lunga serie di impianti di risalita che seguirono. Sarà anche l’occasione per ricordare i cinquant’anni di Dolomiti Superski.

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