Alpinismo

“Troppi sottovalutano la discesa e finiscono nei guai”: l’allarme di Christoph Hainz

L’esperta Guida alpina altoatesina sottolinea la necessità di valutare una via nella sua interezza. E suggerisce due belle ferrate sulle “sue” montagne.

Cambiano le montagne, ma soprattutto il modo di affrontarle. Una chiacchierata con Cristoph Hainz è stata l’occasione per approfondire l’evoluzione dell’andar per monti negli ultimi 40 anni. Accanto a innegabili miglioramenti che riguardano la mera tecnica di salita, la preparazione fisica e i materiali utilizzati, non mancano, però, le ombre.
Christoph Hainz, nato 62 anni fa a Selva dei Molini in Alto Adige, è Guida alpina e di canyoning e da molti anni è esponente di spicco del Team Salewa. Tra le innumerevoli vie nuove salite, ricorda con particolare affetto “Donnafugata”, aperta sul Torre Trieste nel Gruppo del Civetta nell’estate del 2004 con Roger Schäli.

Partiamo dall’attualità. Qual è stata l’ultima via che hai aperto?

Non è recentissima, però per me è molto importante. Si tratta di una via sullo spigolo nord del Torrione Graffer nelle Dolomiti di Sesto. Lo avevo già notato nel 1992 e mi era subito piaciuto, ma da allora fino al 2022 pensavo che qualcuno lo avesse già salito. Quando mi sono accorto che questo non era accaduto ho deciso di aprirlo in solitaria tranne per un tiro e mezzo con cui ho diviso il piacere di quegli strapiombi spettacolari con Kurt Astner. Ho impiegato circa una settimana visto che tornavo a valle ogni sera a dormire. La via è stata attrezzata come per l’arrampicata sportiva, con soste fisse e spit; il grado obbligato è un bel 6b+ e in libera si arriva al 7b. Si chiama Un ultimo saluto e l’ho voluta dedicare a mio figlio Jonas morto durante una salita in free solo del Monte Magro nel Parco Vedrette di Ries-Aurina in quell’anno.

Le persone affrontano la montagna in modo diverso rispetto al passato. Quali le principali differenze che noti?

Per quanto riguarda l’arrampicata sicuramente sì, noi eravamo sempre sul filo dell’impossibile andando incontro a rischi molto alti. I chiodi erano sempre pochi e i voli sempre molto lunghi. Non ci siamo mai preoccupati troppo della qualità della roccia, volevamo fare qualcosa di unico per fama o orgoglio. Ci siamo spesso spinti molto oltre i limiti. Anche le attrezzature di quegli anni erano molto meno sicure. Oggi si sceglie la roccia buona ma si vuole soprattutto il grado mettendo tutte le protezioni possibili, a volte anche a discapito della bellezza della linea della via. I giovani oggi arrivano dalle palestre indoor con una grande preparazione atletica ma spesso non hanno la stessa padronanza in ambiente montano quando anche solo ci si muove sui sentieri o sulle difficili tracce da seguire. Il facile accesso alle pareti, grazie a molti sentieri ben segnati, ha portato un gran numero di persone poco preparate in ambiente montano.

C’è qualcosa in particolare che i frequentatori della montagna tendono a sottovalutare?

Sempre rimanendo in campo dell’arrampicata, spesso noto che non viene presa in considerazione tutta la durata della via che comprende anche la discesa, che in Dolomiti può essere a volte più impegnativa della salita. I chiodi, sulle vie classiche sono lontani e spesso non si vedono subito, e ci vuole poco per uscire dalla linea di salita. Finita la scalata bisogna sempre tener presente di saper come scendere e di avere ancora energia per farlo. Non è un caso che spesso gli scalatori meno accorti devono poi essere soccorsi per rientrare alla base. Ritengo che una via vada interpretata nella sua totalità come una qualsiasi gita.

Ci vuoi consigliare qualche bella ferrata vicino a casa tua?

Sicuramente bella e non troppo difficile è la ferrata Piz da Peres, aperta due anni fa, che prevede anche la possibilità di interruzione in caso di stanchezza o cattivo tempo in arrivo o solamente per evitare tratti troppo impegnativi. Si trova è vicino a Plan de Corones tra Val Badia e Val Pusteria e porta fino alla vetta del Piz de Peres a 2507 metri passando fra diedri, canaloni, creste. L’attacco è vicino al Passo Furcia e grazie a una chiara cartellonistica è ben spiegato come viene suddivisa la via.
Per chi vuole qualcosa di più impegnativo c’è la ferrata “Hans Kammerlandervicino a Campo Tures in Valle Aurina, con partenza da Acereto. La durata è di circa tre ore e mezza, con passi impegnativi. Ovviamente anche per quanto riguarda le ferrate se non si è sicuri del percorso e dei propri livelli di preparazione è meglio farsi accompagnare da un professionista del posto e neanche a dirlo avere sempre la giusta attrezzatura. Una regola che vale anche per chi parte anche per una semplice passeggiata in montagna. Ma che tanti dimenticano.

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