Tita Piaz, il diavolo delle Dolomiti
Insofferente alle “regole” dell’arrampicata e a qualunque tipo di autorità, aprì decine di vie nelle sue Dolomiti. La guida alpina al cui passaggio le donne si facevano il segno della croce morì il 6 agosto 1948 per una caduta… dalla bicicletta
Si va in montagna per essere liberi, per scuotersi dalle spalle tutte le catene che la convivenza sociale impone, per non inciampare ogni due passi in imposizioni e proibizioni. Si va in montagna per sottrarsi da norme ammuffite, per sbizzarrirsi una buona volta e immaginare nuove energie
Tita Piaz
La vita e l’alpinismo
Gian Battista Piaz, detto Tita, nasce a Pera di Fassa, il 13 ottobre del 1879. Il padre Giovanni Battista e la madre Caterina Deluca lavorano duramente per garantire una vita dignitosa a lui e alle due sorelle maggiori Olivia e Maria e riescono a consentire al giovane Tita di proseguire gli studi presso Bolzano per diventare maestro elementare.
Giunto ormai alle soglie del diploma, però, Tita decide di abbandonare la scuola e la carriera di insegnante per dedicarsi alla passione che lo accompagna fin dalla più tenera età e che ormai è divenuta una vera e propria ossessione: quella per la scalata.
L’amore per la cultura, unito a quello per la recitazione e il teatro (ereditato dal padre) comunque non lo abbandonerà mai, facendo di lui anche un apprezzato compositore di liriche in lingua ladina e contribuendo allo sviluppo di quella verve e quel gusto per la boutade polemica che diverranno elementi essenziali del suo mito.
L’incontro di Tita con l’arrampicata è spontaneo e istintivo. Comincia fin da piccolo, sui muri di casa (“ero una specie di scimmia già uscito dall’utero” scrive nel suo libro Mezzo secolo di alpinismo) e prosegue con le prime “esplorazioni” fra i sentieri e poi fra le rocce delle montagne della sua valle, il Catinaccio e le Torri del Vajolet. Il suo è un approccio da autodidatta completamente digiuno delle tecniche di scalata e dell’uso delle attrezzature, ma dotato di un talento e uno spirito decisamente fuori dal comune.
Dopo le prime rocambolesche avventure il suo nome comincia a circolare fra gli appassionati di scalata quando, nel 1897, non ancora ventenne, ripete la mitica via aperta in solitaria da Georg Winkler sulla Torre nordest del Vajolet. Due anni dopo è protagonista di un incredibile concatenamento solitario di otto cime in sette ore, cominciando la cavalcata dalla Est del Catinaccio, per concludere con la Torre Delago. In giro si comincia a vociferare di questo “diavolo” di fassano che sembra non conoscere la paura ed essere in grado di superare agilmente anche le pareti più repulsive.
Ma Diavolo Tita non lo è solo fra le pareti. La sua fama di anarchico ed “esagitato”, avverso alla soggezione alle istituzioni dello stato così come a quelle ecclesiastiche e in generale ad ogni forma di autoritarismo precede quella del talentuoso alpinista. Si dice addirittura che le donne del paese si facciano il segno di croce ogni volta che lo incontrano.
Per la sua militanza politica Tita è costantemente nella lista nera degli sbirri di tutti i regimi sotto i quali si trova a vivere: prima di quelli dell’Impero Austroungarico, poi del Regno d’Italia e infine dei nazifascisti, che nel 1944 lo imprigioneranno per nove mesi a causa della sua partecipazione alla lotta partigiana.
La nomea di rivoluzionario all’inizio certo non giova alla carriera di guida alpina che il giovane Piaz intende intraprendere, anche perché i principi egualitari egli li porta pure in parete, ribaltando la sudditanza che allora contraddistingueva il rapporto fra guida e cliente: chi scala con lui non si può appellare a un privilegio di censo o di ruolo sociale. Fra le rocce è lui il signore e la leggenda narra che è pronto a dimostrarlo anche con scherzi feroci, come quello giocato a quel prete da lui accompagnato in cima alle torri del Vajolet e poi costretto, per poter ridiscendere, a raccomandare l’anima a Tita Piaz, piuttosto che a Dio.
L’opportunità di legarsi con il formidabile Diavolo della Dolomiti, però, diverrà un richiamo così forte da convincere i facoltosi clienti a sopportare il rischio di ogni possibile mancanza di rispetto e, nella sua carriera di guida, Piaz accompagnerà in montagna anche personaggi illustri del calibro di Alberto I Re del Belgio, al quale sarà legato da sincera stima, anche per il fairplay con cui il sovrano saprà accettare le sue taglienti invettive antimonarchiche.
Proprio grazie alla fama di eccellente ed espertissima guida (caratteraccio a parte) Piaz sarà in grado di mantenere degnamente la sua numerosa famiglia. Avrà infatti tre figli dalla prima moglie, Michela Rizzi, sposata nel 1903 e, dopo la morte di questa nel 1912, altri due, nati dall’unione con Maria Bernard, con cui convola a nozze nel 1913.
Innovatore senza pregiudizi
L’alba del 900 nelle Dolomiti è un periodo di grande fermento alpinistico. Le difficoltà superate evolvono rapidamente e si cominciano a mettere a punto le prime tecniche e attrezzature specifiche per la scalata in parete, con un utilizzo più evoluto delle manovre di corda e l’introduzione dei chiodi da roccia come mezzi di sicurezza e progressione. Sono anche gli anni della polemica innescata dai puristi come Paul Preuss, di pochi anni più giovane di Piaz, che rifiutano radicalmente questa deriva tecnologica.
Il Diavolo della Val di Fassa in questo ambito non ha posizioni così radicali: è un uomo pratico, che guarda con curiosità e attenzione alle innovazioni che consentono di realizzare nuove e più difficili imprese. Anzi lui stesso contribuisce a questa evoluzione mettendo a punto, in contemporanea con il tedesco Hans Dülfer, la nuova tecnica per la discesa in corda doppia.
Questa apertura all’innovazione tecnologico non fa certo di lui un “carpentiere” delle pareti, anzi! Nel 1900 è il primo a raggiungere la vetta di una delle più belle torri del gruppo del Catinaccio, salendone in perfetta arrampicata libera e solitaria l’impressionante fessura nordest, superando difficoltà ancora mai toccate fino ad allora, che verranno poi valutate attorno al IV grado. Lo stesso Preuss, che la ripeterà negli anni successivi, la definirà come una delle più straordinarie realizzazioni di quel periodo. Fedele alla linea, Piaz battezzerà la torre da lui scalata con il nome di Emma, che non è quello di una principessa o di una nobildonna, ma della cameriera del vicino Rifugio Vajolet.
Il piacere di attirarsi le critiche e lo sdegno dei puristi della scalata il Diavolo se lo prenderà anche sei anni più tardi, quando raggiungerà la cima della Guglia De Amicis con un complicato (e temerario!) sistema di lanci di corda e traversata alla tirolese.
Lontano dalla Val di Fassa, anche a casa dei “rivali” austriaci
Gli orizzonti di Piaz non sono limitati alla sua valle. Nella sua lunghissima carriera spazia un po’ dovunque nelle Dolomiti e arriva a mettere le mani anche fra le montagne del Wilder Kaiser, culla della formidabile scuola degli alpinisti tirolesi. Nel 1908 sarà proprio lui a superare per primo la temibile parete ovest del Totenkirchl, un altro itinerario di IV grado, considerato all’epoca fra i più difficili in assoluto e destinato a divenire un modello per le future ascensioni delle grandi pareti. Nel 1912 mette la sua firma anche nel gruppo del Lavaredo, compiendo con Hans Dülfer la prima ascensione della Punta Frida.
Gli anni successivi lo vedono sempre in attività ai massimi livelli, con l’apertura di oltre cinquanta nuovi itinerari e un’infinità di salite compiute accompagnando i clienti. Nel 1947 realizzerà la sua ultima scalata sulle Torre Winkler nel gruppo del Catinaccio, a 50 anni esatti di distanza da quando ne aveva toccato per la prima volta la cima.
Solo un anno dopo Piaz, ancora in perfetta forma, sfreccia veloce con la sua bicicletta per le strade di Pera di Fassa. Al momento di arrestare la corsa però i freni non rispondono. La discesa termina con una terribile caduta nella quale ripota un grave trauma cranico. A nulla vale la corsa e il ricovero all’ospedale di Bolzano. L’avventurosa vita del Diavolo delle Dolomiti si fermerà il 6 agosto del 1948.
Libri
- Il Diavolo generoso: La storia di Tita Piaz, il Diavolo delle Dolomiti, Alfredo Paluselli, edizioni Dolomiti, 2018
- Mezzo secolo di alpinismo, Tita Piaz, Alpine Studio, 2020
- Le Alpi del diavolo – Le mie imprese in Dolomiti, Tita Piaz, Res Gestae, 2021
Film
Tita Piaz: il Diavolo delle Dolomiti, Giorgio Balducci, 1998, 40′
Arrivato in vetta con l’ultimo respiro che mi è rimasto nel corpo, ho urlato all’universo: il mondo appartiene ai coraggiosi!
Tita Piaz