E’ morto Ambrogio Fogar
24 agosto 2005 – Per anni è stato l’uomo delle grandi avventure in giro per il mondo. Poi, un gravissimo incidente, lo aveva costretto all’immobilità per il resto della vita. E’ morto questa notte, nella sua casa di Milano, Ambrogio Fogar.
Il 64enne esploratore era paralizzato dal 12 settembre 1992, dopo il terribile incidente automobilistico avvenuto nel deserto del Turkmenistan durante il raid Parigi-Mosca-Pechino. Da quasi tredici anni era bloccato in un letto e respirava e parlava solo grazie alle macchine. Il decesso è avvenuto poco prima delle due di notte, nell’appartamento di via Crescenzago, dove ora la salma riposa, custodita dai familiari.
Uomo di grande coraggio, Fogar era pronto a partire per la Cina, per sottoporsi alle cure con cellule fetali del neurochirurgo Huang Hongyun. Si era offerto come cavia dalle pagine di "Controvento, la mia avventura piu’ grande", un libro scritto assieme a Giangiacomo Schiavi, giornalista del Corriere della Sera, uscito solo due mesi fa.
Nato a Milano nel 1941, fin da giovanissimo Ambrogio Fogar aveva coltivato la passione per le grandi imprese. A soli diciotto anni attraversa le Alpi con gli sci per ben due volte. Nel 1973 realizzerà il giro del mondo in barca a vela, in solitaria. e in senso contrario all’andamento dei venti. Nel 1978, la prima grande tragedia della sua vita: la morte dell’amico giornalista Mauro Mancini, finito con lui alla deriva su una zattera per oltre due mesi, dopo che la loro barca, la "Surprise", nel tentativo di circumnavigare l’Antartide, era stata affondata da un’orca ed era naufragata al largo delle isole Falkland. Fogar viene tratto in salvo per coincidenze fortuite, ma l’amico non sopravvive.
Negli anni Ottanta Fogar diviene noto al grande pubblico prima per la sua spedizione a piedi al Polo Nord, in compagnia del suo cane husky Armaduk, diventato assieme a lui un mito per tutti gli appassionati dell’estremo. Poi per la trasmissione "Jonathan: dimensione avventura". I suoi racconti televisivi sono seguitissimi. Per 7 anni Fogar gira il mondo a caccia di nuove imprese da raccontare.
Gli manca solo il deserto: dopo la partecipazione a tre edizioni della Parigi-Dakar e a tre Rally dei Faraoni, nel ’92 sceglie di partecipare al raid Parigi-Mosca-Pechino. Qui la sventura lo attende in agguato: la macchina su cui viaggia si capovolge dopo aver urtato un sasso. Fogar si ritrova con la seconda vertebra cervicale spezzata e il midollo spinale tranciato.
Il viandante solitario, che il 13 agosto aveva compiuto 64 anni, avrebbe voluto che si facessero esperimenti con cellule staminali sul suo corpo, immobilizzato dopo l’incidente. Ma l’ arresto cardiocircolatorio, avvenuto all’1.30 di questa notte, quando i familiari hanno allertato i sanitari del 118 perché lo avevano trovato incosciente, gli ha tolto quest’ultima speranza.
Una speranza cui aveva dato voce anche nel libro "Solo – La forza di vivere", dove ha scritto: "E’ strano scoprire l’intensità che l’uomo ha nei confronti della voglia di vivere: basta una bolla d’aria rubata da una grotta ideale, sommersa dal mare, per dare la forza di continuare quella lotta basata su un solo nome: speranza". "Ecco, se leggendo queste pagine qualcuno sentirà la rinnovata voglia di sperare – si legge ancora – avrò assolto il mio impegno, e un altro momento di questa vita così affascinante, così travagliata e così punita si sarà compiuto. Una cosa è certa: nonostante le mie funzioni non siano più quelle di una volta, sono fiero di poter dire che sono ancora un uomo".
Nonostante la malattia, Fogar negli ultimi anni ha aiutato la raccolta di fondi per l’associazione mielolesi, è stato testimonial per Greenpeace contro la caccia alle balene, ha collaborato con diverse testate giornalistiche.