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L’altra Cortina vista attraverso i fossili marini di Rinaldo Zardini

La scoperta delle forme di vita della conca ampezzana nel Triassico si deve allo scienziato autodidatta, diventato una leggenda nel mondo della paleontologia

Era anche lui un montanaro. Uno che solo la Grande guerra costrinse a stare lontano dal suo paese. Era nato infatti nel 1902 in Ampezzo (e basta), come si chiamava Cortina d’Ampezzo prima che divenisse italiana. Rinaldo Zardini, “leggendario nel mondo scientifico paleontologico” come si legge nella motivazione della laurea honoris causa che giusto quarant’anni fa gli attribuì l’Università di Modena, si era infatti recato a Zurigo, in Svizzera, ospite di suoi parenti, prima dello scoppio del conflitto, per studiare al ginnasio. E a casa poté tornare solo quando i cannoni tacquero.

E leggendario lo era davvero, con quel suo fisico asciutto e forte e la straordinaria curiosità per la natura, che lo ha portato in giro per le Dolomiti ampezzane fino a poco prima che ci lasciasse nel 1988. Non solo per la scienza ma per il carisma, la pacatezza, la forte personalità associata alla gentilezza d’animo e la generosità nel collaborare del tutto disinteressatamente fornendo un’infinità di materiali e di informazioni ai “cattedratici”, agli “accademici”, che si rivolgevano a lui. Mentre lui era un autodidatta.

Si dice che Zardini abbia raccolto e visionato circa un milione di esemplari fossili, ma “superando di gran lunga la soglia che divide il collezionista dallo scienziato”, come ancora si legge nella motivazione di quella laurea attribuitagli quando ormai lui era ottantaduenne.

I meriti di Zardini sono innumerevoli, e spaziano dalla botanica all’entomologia, ma è innegabile che il grande segno l’abbia lasciato nella paleontologia.

Curioso è che i fossili siano entrati nella sua vita di fotografo presso l’azienda familiare, solo nel 1935, quando un esperto in transito a Cortina gli disse che un sasso da lui raccolto per caso nel greto del torrente Boite, era un corallo.

Da allora, spinto dalla sua innata curiosità, Zardini nelle ore libere dal lavoro, cominciò a girovagare in tutta la conca d’Ampezzo con la speranza di individuare da dove fosse provenuto quel fossile. Era l’inizio di una ricerca che lo portò a scoprire 17 località, alcune rivelatisi tra le più ricche di testimonianze fossili del periodo Triassico, non solo nelle Dolomiti ma in tutto il mondo.

I colorati fossili della Formazione Cassiana

Sebbene molte siano le formazioni geologiche frequentate e indagate da Zardini, qui vorrei focalizzare l’attenzione soprattutto sui fossili della Formazione Cassiana (il nome deriva dalla località di San Cassiano in Val Badia già nota per i suoi fossili fin dall’Ottocento). La ragione sta nel fatto che nella grande maggioranza dei casi si tratta di esemplari piccoli, così perfetti nei dettagli (alcuni persino con tracce dei colori originali delle conchiglie) da poter essere scambiati per coralli, spegne, ricci di mare, gasteropodi, bivalvi, raccolti sulle spiagge e sulle scogliere attuali. E invece hanno intorno ai 230 milioni di anni!

Vengono portati in superficie in seguito a eventi franosi più o meno lenti, restano magari a lungo nel terreno dove, come spiegava lo stesso Zardini, subiscono l’azione degli acidi dell’humus dei vegetali, che delicatamente li liberano dalla matrice in cui si sono conservati, senza rovinarne l’aspetto. Alcuni esemplari (come è possibile osservare dalle fotografie dello stesso Rinaldo Zardini che qui pubblichiamo) sono così belli che sono persino serviti da modello per creare dei gioielli.

Sono assai diversi dai fossili più conosciuti come i Megalodonti, ben rappresentati nella Dolomia Principale, perché questi ultimi, per quanto belli, sono solo il calco interno lasciato dalle conchiglie di questi bivalvi, conchiglie che però non si sono conservate, mentre invece i fossili “cassiani” rappresentano le originarie parti dure degli invertebrati che vivevano allora nei mari tropicali.

Sono infatti fossili provenienti dai fondali marini, spostati alle latitudini e alle altitudini in cui li troviamo oggi dalle immani forze che agiscono sulla crosta terrestre con la conseguente deriva dei continenti e dell’orogenesi.  Quindi rinvenirli significa” rovistare” in quei fondali marini (forse non ce ne rendiamo abbastanza conto) e la geologia e paleontologia di Cortina, come quelle prese in considerazione da Zardini, non sono più un fattore locale ma assumono una dimensione universale.

Quegli acari di 230 milioni di anni fa

È quasi scioccante pensare che queste testimonianze siano sopravvissute in modo così perfetto alle catastrofiche vicende subite dal nostro pianeta nelle centinaia di milioni di anni che ci separano dalla loro presenza in vita. E la nostra meraviglia è ancora più grande se si prendono in considerazione gli acari e altri organismi, rinvenuti ai piedi della Tofana nei pressi del rifugio Dibona, a partire dalla fine degli anni ’90, da Paolo Fedele (uno dei” discepoli” ampezzani di Zardini) inclusi nella più antica ambra che si conosca, di 230 milioni di anni fa.

L’ambra è una resina di antiche piante che colando lungo i fusti ha bloccato nelle sue goccioline vischiose questi fragilissimi esserini (poi studiati in particolare dai professori universitari Guido Roghi e Piero Gianolla insieme ad altri studiosi sia di istituzioni italiane che internazionali). Esseri che sulla Terra hanno trascorso solo poche ore o al massimo qualche giorno, ma del cui transito effimero sul nostro pianeta ci resta una testimonianza dettagliata.

Zardini nel suo silenzioso andar per monti con gli occhi ben aperti ha spalancato un mondo del tutto sconosciuto prima di lui nella conca d’Ampezzo, pur avendo pubblicato il suo primo lavoro scientifico (poi ne seguirono numerosi altri) quando aveva più di 65 anni. La sollecitazione a farlo gli venne da un grande nome della scienza, quel Franco Rasetti che fece parte del gruppo dei famosi fisici italiani conosciuto come i “Ragazzi di via Panisperna), che, nauseato dall’uso fatto dell’energia nucleare durante la Seconda guerra mondiale, si dedicò alla paleontologia, all’entomologia e alla botanica sempre ad altissimo livello. E divenendo amico di Zardini.

Il più noto lavoro divulgativo realizzato da Rinaldo Zardini “Geologia e fossili delle Dolomiti di Cortina e dintorni” è stato ripubblicato lo scorso anno dalle Regole d’Ampezzo, con i dovuti aggiornamenti. Da scrupoloso fotografo qual era lui le immagini dei fossili che contiene sono state scattate utilizzando l’ossido di magnesio prima di fotografarli per esaltarne i dettagli.  Anche il museo paleontologico delle Regole è dedicato a Rinaldo Zardini che ne fu il principale promotore.

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