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Frammenti di Annapurna: intervista a Mario Merelli

25-05-2005 – Al rientro dall’Annapurna l’alpinista Mario Merelli racconta a montagna.org alcuni ricordi preziosi di questa spedizione.

Frammenti di Annapurna

Il momento più bello della spedizione…

È stato l’arrivo al Campo Base dopo 7 giorni passati in quota. L’acqua fresca… e la birra che Gnaro e Christian (Gobbi) mi hanno offerto venendomi incontro al mio arrivo. Che sete avevo!

Erano circa le 18.30 – 19.00. Abbiamo chiacchierato e mangiato fino alle 23.00 e poi, finalmente, abbiamo dormito. Al caldo e al sicuro. 

Già, perché la notte precedente l’avete passata nel crepaccio…

Sì, io e Mario Panzeri.

Quando abbiamo raggiunto la vetta, verso le 14.00, c’era ancora bel tempo anche se le nuvole si stavano già addensando. Appena iniziata la discesa è subito calata una nebbia fitta e poi ha iniziato a nevicare. Abbiamo cercato di scendere lo stesso, io camminavo incrociando i passi per essere sicuro di procedere lungo una linea retta. Ad un certo punto ho sentito cedere la neve sotto un piede e mi sono ritrovato poco più in basso nel mezzo di un cumulo di neve fresca. Ho subito detto a Mario di fermarsi perché non cadesse anche lui, e per evitare rischi abbiamo deciso di bivaccare in un vicino crepaccio durante la notte. Era stretto, ma ci riparava.

Eravamo a quota 7.700m. Non potevamo dormire, dovevamo restare svegli. Per resistere al sonno, ogni tanto ci chiamavamo, battevamo mani e piedi. Non addormentarsi è stato durissimo, soprattutto all’inizio. Eravamo stanchissimi.

Verso le 5, alle prime luci dell’alba, siamo ripartiti verso il Campo Base.

E con il sole abbiamo visto che a qualche metro avanti noi c’era la Falce. Meno male che abbiamo deciso di fermarci… Per colpa della nebbia, pensavamo di essere da tutt’altra parte!

Daniele dov’era?

Lui ed Ed Viesturs sono riusciti (con molta fatica) a trovare le corde fisse e a raggiungere il Campo 3 (6.900m), verso le 10 di sera. Il Campo era ormai fuori dalla parete pericolosa.

Il momento più brutto che hai vissuto, invece?

E’ stato ovviamente quando abbiamo dovuto andare a prendere Christian (Kuntner) dopo la valanga, o meglio, il crollo della seraccata. Perchè a loro non è caduta addosso neve, ma veri e propri blocchi di ghiaccio.

Noi eravamo a Kathmandu. Stavo facendo colazione quando ho ricevuto la telefonata di Marco Camandona che chiedeva l’elicottero per i soccorsi. Ci siamo subito vestiti e siamo saliti sull’elicottero per raggiungere Campo 2, a 5.600m. Non è facile arrivare a quella quota con l’elicottero, ma il pilota era veramente bravo e noi, appena scesi dalla montagna, siamo riusciti a dargli indicazioni precise e dettagliate sulla zona in cui atterrare. Questo ha permesso ai soccorsi di arrivare in fretta, ma ormai per Christian era troppo tardi.

Dopo la valanga, gli altri sono riusciti a farlo alzare, ha mosso qualche passo, poi l’hanno trasportato a Campo 2. Lì l’abbiamo trovato, insieme a Gnaro (Mondinelli) e ad Abele (Blanc). Ci hanno raccontato che è sempre stato cosciente. Poco prima di morire ha chiesto a Gnaro di salutargli mamma e papà.

Cosa ricordi di lui …

Di "Brontolo"? Lo chiamavo così, affettuosamente. Era mio coscritto. Abbiamo fatto due spedizioni insieme, era un amico. Ricordo che diceva sempre che nell’alpinismo molte volte si parla, si parla, ma non si fanno i fatti. Lui era così, poche apparizioni in pubblico, ma grandi imprese.

Un sorriso di nostalgia appare sul viso di Mario. Vale più di altre parole.

E’ rimasto qualcuno al Campo base?

Ora al Campo Base non c’è più nessuno. Gli ultimi ad andarsene sono stati Gnaro e Christian (Gobbi), dopo aver inciso la targa in memoria di Christian Kuntner e averla deposta al Memorial.

E’ veramente una montagna "stregata". Sembra che tutti coloro che inseguono il traguardo dei 14 Ottomila la lascino per ultima…

Sì. Quest’anno Abele Blanc, Christian Kuntner ed Ed Viesturs: erano tutti e tre al 14° Ottomila. Solo Ed, che è salito con noi, è riuscito a raggiungere il traguardo.

Probabilmente resta per ultima perché è la più pericolosa. Quasi sempre ci si deve tornare più volte. Per me era il secondo tentativo, ci ero stato qualche anno fa per salirla dalla via degli Svizzeri (cresta Sud-Est). Ma la neve arrivava alla vita, e il tentativo è fallito.

Invece stavolta è andata bene. Cosa ricordi della vetta?

Che non ci arrivavamo mai…. !

Una volta sbucati sulla cresta, abbiamo fatto 6 cime prima di arrivare alla vera vetta dell’Annapurna. Ricordo che su ognuna di esse speravamo di essere arrivati… ma ogni volta Gustafsson Viekka, alpinista finlandese che stava scalando la vetta con noi, ripeteva: "One more! One more!". E proseguivamo.

Fino a che siamo arrivati sull’ultima, poco più un là iniziava la discesa. La cima più alta.

Quando l’abbiamo raggiunta, è stato meraviglioso.

Chiudiamo in bellezza. Altri ricordi piacevoli?

Le telefonate e gli sms degli amici della redazione di montagna.org. Mi hanno fatto un gran piacere!!

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