Gente di montagna

A tu per tu con Renata Rossi, la prima donna guida alpina d’Italia

Grandi montagne, scialpinismo, canyoning, ciaspole: tutto con la stessa passione di sempre. E con la determinazione che nel lontano 1984 le ha fatto superare un muro che pareva invalicabile. Aprendo la strada a tante altre ragazze

Molto tempo fa, all’inizio degli anni Ottanta, due ragazze nate ai piedi delle Alpi lombarde hanno deciso di cambiare il mondo. Serena Fait e Renata Rossi, una di Sondrio e l’altra di Chiavenna, si sono iscritte ai corsi per aspirante-guida fino ad allora frequentati esclusivamente da maschi. Renata, nel 1984, fu la prima a ottenere il brevetto. Serena, frenata da un grave incidente stradale la seguì qualche tempo dopo. Il ghiaccio era rotto.

Tutte le guide sanno (e devono) cavarsela in situazioni molto diverse. Renata, grazie alla sua passione per i torrenti e per i canyon, ama passare in poche ore dal granito levigato del Piz Badile alle acque vive della Val Bondasca e della Val Bodengo, a pochi chilometri da casa. Nei suoi ricordi affiorano alpinisti famosi, donne di sport e un istruttore speciale come il romano Gigi Mario, guida e monaco Zen, che ha diretto per qualche anno i corsi-guida nazionali. L’incontro più importante di Renata, però, è stato quello con Franco Giacomelli, suo marito. Un compagno di avventure, un collega, un perfetto compagno di vita.

Quanta neve c’è in questi giorni in Val Chiavenna e in Valle Spluga?

Tantissima! Nei giorni scorsi, facendo dei rilievi per la A2A, che gestisce le dighe della zona, ne abbiamo misurata da 200 a 240 centimetri. Poi siamo andati a Ligonchio, sull’Appennino emiliano, e praticamente non ce n’era. Un contrasto incredibile.

 A proposito di contrasti. Lei e suo marito fate le guide alpine da tanti anni, ma sul vostro sito si vedono molte foto di canyon.

E’ vero. Sono nata qui, vivo a Villa di Chiavenna sul confine con la Svizzera, per me il Badile e le vette vicine sono casa. Però mi sono innamorata molto presto dei torrenti e dei canyon. Con Franco li abbiamo esplorati, poi abbiamo seguito i corsi di specializzazione e abbiamo iniziato a portare i nostri clienti anche lì. Il torrente Boggia, in Val Bodengo, è un paradiso a pochi chilometri da casa.

Qualche anno fa molti montanari non sapevano nuotare. Lei evidentemente se la cava…

Ho sempre nuotato in piscina, la passione per i torrenti mi ha spinto a migliorare. L’acqua di mare non mi piace, ti attacca il sale alla pelle, quella delle montagne è meravigliosa, è viva.

 Cosa mi può dire dei clienti del canyoning? Sono diversi da quelli dell’alta montagna?

Certo che sono diversi! Sono più giovani, ci sono molte ragazze. E poi, è giusto dirlo, le attività di gruppo consentono di andare con la guida spendendo poco. Una via classica in montagna, come lo spigolo Nord del Badile, che ho scalato tante volte e dove torno sempre con piacere, costa molto di più.

Capita che chi viene con voi con le ciaspole o in un canyon decida di avvicinarsi all’alpinismo?

Sì, e mi fa molto piacere. Succede spesso che chi ci scopre grazie a una ciaspolata, ma sa anche sciare bene, ci chieda di provare il fuoripista e le pelli di foca. Da qualche anno, con il Consorzio di promozione turistica della Val Chiavenna organizziamo delle uscite di questo tipo.

Insomma, da quando lei ha iniziato a lavorare il mestiere di guida alpina è cambiato.

Sì, all’inizio c’erano solo l’alpinismo, lo scialpinismo e un po’ di arrampicata in falesia. Oggi ci sono i canyon, le ciaspole, il lavoro su corda. La nostra collaborazione con A2A ci porta anche a fare dei controlli sulle dighe.

 Abbiamo parlato di torrenti, e da quando lei e Serena Fait avete fatto il corso è passata molta acqua sotto i ponti. Quante sono le donne guida oggi? Quante ne conosce lei?

Oggi su circa 1.500 guide alpine italiane le donne sono tra le 25 e le 30. Ne conosco qualcuna, come Giulia Monego, Roberta Vittorangeli, Valentina Casellato e Anna Torretta, che è bravissima a scalare e a comunicare. Chiara Todesco ha intervistato dieci di noi in un libro, “Signore delle cime”. Mi piace molto.

Lei invece a comunicare non è brava?

Meno di Anna, sono sempre stata un po’ selvatica.

Torniamo al suo corso-guida. E’ stato difficile arrivarci? E chi le ha dato di più tra gli istruttori?

All’inizio non era chiaro se fosse possibile iscriverci o no al corso da aspirante guida, ci ha spinto a farlo Armando Da Roit, guida alpina e poi senatore bellunese. Tra gli istruttori ho un ricordo meraviglioso di Gigi Mario, romano, monaco Zen e guida alpina. Era severo ma giusto, ti teneva d’occhio sempre, quando iniziava a parlare era un fiume in piena.

Lei vive a un passo dalla Svizzera, molto spesso ci lavora. Lì per le donne che volevano diventare guide alpine è stata ancora più dura…

E’ vero, d’altronde le donne svizzere possono votare solo dal 1971. Per molto tempo, per loro, diventare guida era vietato. Oggi è tutto cambiato, e quando vado ad arrampicare in Albigna trovo delle cordate fortissime formate da sole donne.

Torniamo un momento ai clienti. E’ capitato, o magari capita ancora, che gli uomini non si fidassero di una guida donna? L’ho visto succedere in aereo, quando dall’altoparlante una voce di donna ha annunciato “buongiorno, sono il vostro comandante…” e qualche passeggero maschio si è agitato.

In passato succedeva, specie con clienti svizzeri e tedeschi, che non se lo aspettavano proprio. Oggi è diventato rarissimo, d’altronde da queste parti ci sono donne che pilotano elicotteri. E poi, nella nostra clientela, ci sono molte famiglie…

Le montagne tra la Valtellina e la Svizzera offrono meravigliose vie su granito, ma anche salite su neve e ghiaccio. Si possono ancora fare o il cambiamento climatico le ha cancellate?

Sulle cime più alte, dal Bernina al Piz Palü si possono ancora fare, badando a scegliere le condizioni giuste. Le classiche vie di ghiaccio dell’Albigna, come le Nord del Cantone e della Cima di Rosso, sono a quota più bassa e non esistono più.

 La montagna al femminile va di moda. Sui sentieri e in falesia le donne sono tantissime, ma cosa accade nel mondo dell’alpinismo?

Le donne ci sono, e aumentano sia come numero sia come capacità. Ammiro Federica Mingolla, climber e alpinista, e Cristina Piolini che frequenta gli “ottomila” e ha completato le Seven Summits. Però, almeno in Italia, i praticanti dell’alpinismo classico sono meno che in passato.

Si parla spesso di “camminare lentamente”. Ma in montagna non bisogna essere veloci?

Bisogna andare alla velocità giusta. Nelle nostre uscite nei canyon c’è il tempo per guardarsi intorno, per ammirare i luoghi che stiamo esplorando.

 Cosa pensa di chi punta ai record di velocità?

Ho conosciuto molti alpinisti ultraveloci che non si davano arie, da Ueli Steck a Patrick Bérhault. Oggi c’è Filip Babicz, che fa registrare dei record pazzeschi ma è una persona semplice e piacevole. Viene spesso a trovarci.

 Conosce e frequenta altre donne di montagna e di sport?

Le altre guide donne sono delle colleghe, ci conosciamo e ci rispettiamo ma è tutto qui. Mi ha segnata l’incontro con Rossana Maiorca, la figlia di Enzo, il re delle immersioni in apnea. E quello con Manuela Zanchi, campionessa di pallanuoto che ha vinto l’oro alle Olimpiadi di Atene del 2004. Oggi viene a fare canyoning con noi.

 Nella sua vita, tra tante donne, c’è un uomo, suo marito Franco Giacomelli. Da quanto dura il vostro rapporto? E quanto è importante per lei?

Ci siamo conosciuti da ragazzi, ci siamo sposati giovanissimi. Conta tantissimo, il nostro rapporto è un pilastro della mia vita.

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