Gente di montagna

Maurizio Folini, salvare vite in elicottero sugli 8000

Il “pilota degli ottomila” è nato e vive in Valtellina. Qualche anno fa ha recuperato un alpinista in difficoltà a 7800 metri. Oggi continua a intervenire ad alta quota e lavora per formare i piloti del Nepal 

Sugli “ottomila” del Nepal lavora un pilota italiano famoso. Maurizio Folini, 58 anni, nato e residente in Valtellina, è noto per aver recuperato decine di alpinisti in difficoltà oltre i 7000 metri, una quota che in passato sembrava proibitiva.

In questi giorni lavora sulle Alpi, tra Valtellina ed Engadina. All’inizio di aprile, per un paio di mesi, si trasferirà a Kathmandu, e inizierà a volare verso l’Everest, il Dhaulagiri, il Kangchenjunga e le altre grandi vette dell’Himalaya.

Così facendo, Folini insegnerà il mestiere ai piloti nepalesi e agli Sherpa che accompagnano le spedizioni, e che devono sapere cosa fare quando un cliente rischia di morire a causa dei congelamenti o di un edema polmonare o cerebrale, e non può essere riportato a valle via terra.

In questa intervista Maurizio ci racconta il suo lungo apprendistato e qualche trucco del mestiere. A farlo diventare il “pilota degli ottomila” è stata la stessa passione che, in passato, gli ha fatto conseguire il brevetto di guida alpina.

A che quota ha effettuato il suo soccorso più alto?

A 7800 metri, poco sotto il Colle Sud dell’Everest. E’ utile ricordare che la velocità dà portanza a un elicottero, e quindi lo aiuta a restare in aria. Per fare un soccorso bisogna fermarsi, noi piloti parliamo di hovering, e l’aria ti aiuta di meno.

Che differenze ci sono tra i soccorsi con l’elicottero sulle Alpi e in Himalaya?

La differenza principale è la quota. Per recuperare un alpinista a 7000 metri e più devo alleggerire l’elicottero, togliendo i sedili non necessari e caricando poco carburante. Anche il verricello non c’è perché pesa. Si usa la longline, una corda, doppia per sicurezza, appesa al gancio baricentrico dell’elicottero. Se la quota e il meteo lo consentono si decolla con uno Sherpa agganciato. Altrimenti mi fermo sulla verticale e un soccorritore, da terra, aggancia la persona da evacuare alla longline.

Quante volte ha fatto questa manovra in Himalaya?

Nel 2023 ho fatto più di 30 soccorsi con la longline, e circa 50 atterrando con l’elicottero al campo II dell’Everest, 6200 metri. Al campo-base c’è un posto di medicazione della Himalayan Rescue Association.

Raccontata così sembra facile…

Invece è difficilissimo. Ci vuole una grande esperienza del pilota, e gli Sherpa devono sapere quel che stanno facendo. Comunicare è difficile, perché chi sta sulla verticale di un elicottero non sente nulla, e spesso ci si capisce a gesti. C’è anche il problema dell’ossigeno, che si usa oltre i 4000 metri di quota. La maschera rende difficile usare la radio, di solito si usano delle cannule nel naso, ma si riesce a inspirare poco.

Nel 1996, dopo la bufera resa celebre da “Aria sottile” di Jon Krakauer, il recupero in elicottero di un alpinista a 6200 metri è stato un exploit incredibile. Cosa è migliorato negli ultimi anni?

C’è stato un progresso tecnico degli elicotteri, i nuovi H125 della Airbus sono più potenti dei vecchi modelli. Sono migliorati l’avionica e i GPS. Ed è molto aumentata l’esperienza dei piloti.

Facciamo un passo indietro. Perché è diventato pilota di elicottero? E come ha fatto?

Alla base di tutto c’è una grande passione per la montagna. Arrampicavo, facevo scialpinismo, sono diventato guida alpina, volavo in parapendio e in deltaplano. Ho deciso di dedicarmi agli elicotteri, ho frequentato un corso in California investendo una montagna di soldi. Ho ottenuto il brevetto, e poi ho dovuto ricominciare da zero.

 In che senso?

Il brevetto di pilota significa che sai far volare un elicottero da un punto all’altro. Imparare a volare in montagna, e a trasportare carichi appesi al gancio baricentrico, richiede anni di esperienza, e dalle 4.000 alle 5.000 ore di volo.

Com’è arrivato in Nepal?

Quasi per caso. La Leonardo mi ha chiesto di fare dei voli dimostrativi per dei clienti nepalesi. Io mi sono guardato intorno, ho cercato un modo per riuscire a volare e a lavorare anche lì. Ci sono riuscito.

Torniamo alle differenze tra l’Himalaya e le Alpi…

Tra Kathmandu e il campo-base dell’Everest c’è l’aeroporto di Lukla, volano molti elicotteri, è facile avere informazioni. Altrove non hai punti di riferimento, se il tempo peggiora capita di dover atterrare e passare la notte in un lodge a 5000 metri. Sulle Alpi abbiamo i furgoni che ci attendono per fare rifornimento, in Nepal lasciamo taniche di carburante in punti strategici.

Per chi lavora oggi?

Sulle Alpi per la Heli-Bernina, in Engadina, e per la Heli-Austria, che nonostante il nome è italiana. In Nepal per la Kailash Helicopter Services.

Chi ha inventato il modo moderno di volare (e di fare soccorsi) con l’elicottero in montagna?

Nelle Alpi abbiamo iniziato negli anni Cinquanta a fare soccorso in montagna, poi sono cambiati gli elicotteri e le loro prestazioni. In Europa, e specialmente in Svizzera, c’è una formazione specifica per il volo in montagna. Da dieci anni lavoriamo per trasferirla ai piloti nepalesi.

Questo vale anche per le operazioni con la longline?

Sì. Tenga presente che per iniziare la formazione per queste operazioni, che in gergo si chiamano HEC (Human External Cargo) occorrono almeno 5.000 ore di volo in qualsiasi condizione meteo. Non ci sono scorciatoie, chi le cerca mette in pericolo la sua vita e quella degli altri.

 Formare i piloti nepalesi è sufficiente?

No, bisogna formare anche il personale a terra. Uno Sherpa a 7500 metri, con un cliente che sta male e non è cosciente, deve saper fare le manovre a memoria.

Cosa significa “noi”? Quanti piloti sono in grado di lavorare e di fare soccorsi in “long line” ad altissima quota?

Pochi, meno di una decina.

In cosa consiste il suo lavoro sulle Alpi?

In Italia e in Svizzera faccio moltissimi trasporti di materiali, verso rifugi e cantieri, e poi voli turistici, fotografici o per il distacco artificiale delle valanghe con esplosivi. In caso di incidente o valanga intervengono gli elicotteri del Soccorso Alpino, però capita spesso di fare un primo sopralluogo, o di portare soccorritori sul sito.

E in Nepal?

Molti soccorsi, come ho già detto, e molti trasporti di materiale anche lì. Trasportare carichi porta reddito alle aziende di elicotteri e insegna ai piloti a volare. Le aziende che investono sulla formazione dei piloti, in futuro, potranno fare operazioni di soccorso HEC con la longline.

Chi fa partire le operazioni di soccorso?

Alpinisti, trekker e Sherpa devono avere un’assicurazione. In caso di bisogno, l’agenzia che organizza il viaggio deve organizzare il soccorso e coordinare le aziende di elicotteri e le compagnie di assicurazione

Capita che qualcuno che non sta male ne approfitti, scendendo a spese dell’assicurazione?

In passato succedeva, ora no. Per ogni soccorso si deve fare richiesta all’Aviazione civile. A volte i controlli vengono effettuati da personale delle compagnie di assicurazione. Oggi chi bara paga.

Le capita di portare Sherpa o alpinisti in salita?

No, anche questo è vietato. Quando salgo al campo I o al campo II dell’Everest porto cibo, corde, bombole di ossigeno. Così riduco i pericolosi andirivieni dei portatori nell’Icefall, la seraccata.

Lei continua a fare anche la guida alpina?

Sì, nei weekend invernali faccio spesso scialpinismo con i clienti. Mi piace, ed essere allenato fisicamente e alla quota è utile anche per il mio lavoro di pilota.

Le serve, quando pilota un elicottero in montagna, essere anche guida alpina?

Sì. Volare in montagna con un elicottero ed essere guide alpine (o buoni alpinisti) aiuta a leggere e interpretare i messaggi che la montagna ci dà. Sono due lavori complementari.

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