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Rigopiano, una strage senza colpevoli (o quasi)

La sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila modifica solo in piccola parte quella del Tribunale di Pescara. La montagna rimane quindi la principale responsabile della tragedia

Ci hanno dato un contentino”. Questa frase, pronunciata dai parenti delle vittime dopo la lettura della sentenza d’appello, chiude la vicenda giudiziaria sulla valanga di Rigopiano, che poco più di sette anni fa, il 18 gennaio 2017, ha ucciso 29 persone e ne ha ferite altre 11 nell’omonimo hotel del versante pescarese del Gran Sasso.

Le novità della sentenza di ieri, emessa dalla Corte d’Appello dell’Aquila, sono le condanne inflitte a tre imputati che erano stati assolti in primo grado. Un anno e otto mesi all’ex-prefetto Francesco Provolo, due anni e otto mesi al tecnico comunale Enrico Colangeli, un anno e quattro mesi per il capo di Gabinetto della Prefettura di Pescara Leonardo Bianco.

Sono state confermate le condanne del sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (due anni e otto mesi), e dei funzionari della Provincia di Pescara Mauro Di Blasio e Paolo D’Incecco (tre anni e quattro mesi ciascuno). Modificata la pena per Bruno Di Tommaso, gestore dell’Hotel Rigopiano, cinque mesi e 10 giorni invece di sei mesi in primo grado.

Le tre nuove condanne emesse dalla Corte d’Appello confermano quasi completamente la sentenza di primo grado decisa dal giudice Gianluca Sarandrea del Tribunale di Pescara. E’ stato smentito ancora una volta, invece, l’apparato accusatorio del Procuratore capo Bellelli e dei sostituti Benigni e Papalia, che avevano chiesto 151 anni complessivi di reclusione. La grande maggioranza degli imputati (22 su 30) è stata assolta anche in secondo grado.

L’ex prefetto Provolo è stato condannato per aver detto il falso in una relazione del 17 gennaio sulla viabilità delle strade della Provincia, compresa quella da Farindola a Rigopiano, e per non aver convocato il Centro Coordinamento Servizi, ma è stato scagionato dall’accusa di responsabilità sulla strage, che è avvenuta due giorni dopo il rapporto contestato.

Enrico Colangeli, tecnico del Comune di Farindola, è stato condannato per aver rilasciato il permesso alla ristrutturazione dell’hotel, situato ai piedi di un canalone del Monte Siella. Tra le condanne confermate, quella del sindaco Ilario Lacchetta è legata alla mancata ordinanza di sgombero dell’albergo, quella dei funzionari provinciali Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio dal mancato monitoraggio della viabilità in quei giorni di nevicate fortissime, e per non aver chiuso la strada che sale da Farindola a Rigopiano.

Erano già stati assolti, e tali sono rimasti, altri 22 imputati tra i quali l’ex-presidente della Provincia Antonio Di Marco, gli ex-sindaci di Farindola, Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico  e i dirigenti della Regione Abruzzo che, negli anni, non hanno realizzato la carta sul pericolo valanghe.

Ci aspettavamo di più, la condanna della Regione e della Provincia. Se oggi avessero preso tutti l’ergastolo a me non cambiava nulla”, ha commentato Alessio Feniello, padre di Stefano, morto a 28 anni nell’albergo. “Mi aspetto che i colpevoli non diventino le vittime”, aveva detto la sorella di un’altra vittima, pochi giorni fa, alla scrittrice Donatella di Pietrantonio, originaria di Arsita, a pochi chilometri da Rigopiano.

Quell’albergo doveva essere chiuso in condizioni così avverse. Quell’albergo non doveva essere lì”, è il commento dell’autrice di “Bella mia” e de “L’Arminuta”. E’ l’epitaffio più giusto.

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