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“The Heart of a Continent”: Sir Francis Younghusband nel 1887 è il primo occidentale a vedere da vicino il K2. Così lo presenta al mondo intero

L’ufficiale inglese è passato alla storia come promotore delle prime spedizioni all’Everest. Ma molti anni prima aveva ammirato il K2 che definì “un cono perfetto, ma incredibilmente alto”

Il primo occidentale che riuscì a vedere da vicino il K2 dal misterioso versante Nord fu l’ufficiale inglese Francis Younghusband nel 1887, nel corso della campagna esplorativa che lo portò ad attraversare l’allora sconosciuto spartiacque del Karakorum tra Cina ed India.

Tra i tesori custoditi nella biblioteca digitale mondiale dell’Unesco è consultabile il resoconto di viaggio di Captain Younghusband dal titolo The Heart of a Continent, A Narrative of Travels in Manchuria, Across the Gobi Desert, Through the Himalayas, the Pamirs, and Chitral, 1884-1894.

In italiano, significa “Il cuore di un continente. Un racconto di viaggi in Manciuria, attraverso il Deserto di Gobi, e attraverso l’Himalaya, il Pamir e il Chitral, 1884-1894”.

Al suo interno è una citazione famosa. “Visto da questo lato, sembrava alzarsi come un cono perfetto, ma incredibilmente alto. Era una di quelle visioni che si imprimono in un uomo per sempre, e producono un effetto permanente sulla sua mente”.

Centodiciassette anni dopo, passando attraverso l’Aghil Pass e la sterminata piana alluvionale della Shaksgam Valley, provai la grande sensazione di trovarmi di fronte alla stessa montagna.

Le cronache alpinistiche dalle cime più alte della Terra non si soffermano quasi mai nell’intercettare la geografia delle grandi catene montuose dell’Asia.

Eppure questa gigantesca barriera naturale per secoli ha costituito un vero e proprio rebus geografico, difeso l’accesso alle favolose città orientali e attirato viaggiatori eccentrici da ogni dove.

Prima della nascita dell’alpinismo, per passi e crinali del Karakorum sono transitati eserciti, mercanti, spie, viandanti e avventurieri, trasformati in esploratori entusiasti al cospetto della magnificenza delle vette.

Dalle loro vicende spesso sono nate storie inventate e racconti mitologici intrecciati attorno alle più grandi montagne del mondo.

Non a caso, pare che i geografi arabi nel Medioevo, quando ancora per gli artisti dell’Islam era ammesso l’impiego delle immagini, avevano immaginato l’Eurasia come una dama, la favorita del sultano, completamente nuda tranne una cintura preziosa che stava a rappresentare le montagne, con la fibbia fissata all’ombelico dell’Asia, l’incontro tra Hindu Kush, Karakorum e Himalaya.

Ai primi viaggiatori occidentali, forse i missionari gesuiti, sfuggiva l’esatta dimensione della vastità di queste vette, dove dietro un monte compariva un altro monte, quasi all’infinito, ma il raffronto con le Alpi relegava quest’ultime a poco più di paracarri.

Solo ai primi dell’800, con l’opera di rilevazione geografica chiamata The Great Arc gli inglesi iniziarono a mappare con rigore topografico i colossi che si vedevano ergersi dalle nebbie sin dalle pianure dell’India.

Ghiacciai e valichi, anche i più inospitali, per qualche decennio a cavallo tra ‘800 e ‘900, vennero percorsi non solo da geografi e cartografi, ma anche da agenti segreti impegnati in uno scontro in alta quota tra impero russo e quello inglese che prese il nome di “Great Game”, il “Grande gioco”.

Storie di spie in una regione di frontiera, dove le missioni degli 007 si dissolsero nella complessità della geografia politica e fisica di questa regione, nell’aria rarefatta dei luoghi più distanti dal mare mai esplorati e negli incontri straordinari con le montagne più alte del mondo.

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