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A tu per tu con Silvia De Bastiani, maestra dell’acquerello

Le montagne sono il soggetto più ricorrente nelle opere dell’artista feltrina. Grazie a lei diventano ancora più magiche

Il Museo etnografico Dolomiti di Cesiomaggiore (BL) ha ricevuto la donazione di quattro dipinti all’acquerello dall’artista feltrina Silvia De Bastiani. Si tratta di lavori su carta di grande formato raffiguranti scorci dolomitici realizzati per la mostra Qui accade tenutasi nel 2012 a Belluno durante il festival Oltre Le Vette. D’ora in poi si potranno ammirare in permanenza nella sala conferenze del museo del Bellunese.

Altri quattro acquerelli verranno collocati in seguito nello stesso spazio espositivo, questa volta  nella sezione dedicata agli esseri fantastici della montagna, per creare una suggestiva ambientazione all’uomo selvatico, alle anguane e “el mazzarol”, personaggi leggendari e carichi di significati per le popolazioni dolomitiche: in questo caso gli acquerelli raffigurano scorci di boschi.

Silvia De Bastiani è nata nel 1981 a Feltre, vive a Imer, vicino Fiera di Primiero, ed è madre di due figli. Ha scelto di vivere d’arte e le montagne sono diventate il soggetto prediletto dei suoi lavori, rigorosamente realizzati all’acquerello, molto spesso su grandi e grandissimi formati, ottenuti assemblando vari fogli di carta. Alcuni suoi lavori sono riprodotti e allestiti al MUSE di Trento in una struttura di dodici metri per tre (frutto di diversi fogli accostati) e fanno da scenografia al periodo che va dall’era glaciale alle ere successive passando per ambientazioni di nevai e ghiacciai agli alberi di conifere, betulle, faggi fino ai campi coltivati con il grano. La sua tecnica restituisce ambienti e montagne con meticolose velature sovrapposte, un trattamento della luce, del tono dominante e dei chiaroscuri che trasforma di volta in volta la stessa montagna nelle infinite possibilità che offre la realtà quando la si osserva, in un processo di astrazione mai uguale a sé stesso.
Lo scenario prediletto sono le Dolomiti, ma negli ultimi anni l’artista si è dedicata anche alle Alpi Occidentali. Silvia De Bastiani organizza ogni anno corsi di acquerello dal vero nella Pale di San Martino e collabora con la Galleria Salamon di Milano.

Quando ha capito che la pittura sarebbe stata la sua strada?

Presto, già da bambina l’istinto mi portava in quella direzione. Dalle scuole superiori poi si è radicata la convinzione che l’arte fosse la mia strada. Dall’esterno percepivo l’incertezza e il timore che quella dell’artista potesse essere una professione non sicura ma fortunatamente i miei genitori non mi hanno mai ostacolata. E abbastanza presto, dopo gli studi in Accademia, ho iniziato a lavorare con la pittura, collaborando con alcune gallerie e insegnando disegno e acquerello.

È stato un bisogno interiore?

In qualche modo sì, anche se non avevo la piena consapevolezza di cosa significasse fare l’artista.

Seguire questo istinto è stato un viaggio dentro me stessa, una sorta di meditazione.

La pittura è stata uno strumento potente per far emergere consapevolezze, dubbi, per placare insicurezze, per accendere sfide interiori. Ma soprattutto per soddisfare il bisogno di bellezza, quello spirito capace di alimentare i sensi e il cuore.

Lacquerello nasce su formati piccoli e trasportabili. Quando ha cominciato a lavorare sui grandi formati?

Quasi subito, durante gli studi in Accademia. L’acquerello è da sempre considerato una tecnica minore, quasi una fase transitoria della pittura. Svilupparlo sui formati grandi è stato un modo per rivendicarne il valore, come a volergli dare il respiro della pittura e non quello di semplice strumento di studio.

A volte fatico a ritornare sui piccoli formati. C’è anche un aspetto legato alla gestualità, più controllata sul piccolo, più dinamica, conflittuale e per questo stimolante sul grande. La sfida tecnica del grande formato contribuisce a dare maggiore tensione ed energia al gesto pittorico.

E subito dopo le montagne si sono imposte come soggetto dominante

Sì. la ricerca sulla montagna è stata quasi un’esigenza fisica. Volevo riportare sul foglio quanto visto salendo qualche cima, le sensazioni dell’aria, del vento, della luce, con il desiderio di contenere tutta l’immagine, estenderla sempre di più e respirare nuovamente quegli spazi attraverso la pittura.

Ha vissuto la montagna anche arrampicando?

Sì, salite facili, soprattutto nelle Pale di San Martino, ma che mi hanno comunque consentito di restituire sul foglio la superficie, la texture della roccia, e di rivivere, quando dipingo, anche un aspetto tattile. Adesso è più difficile ritagliarsi il tempo per scalare in montagna: devo attendere che i figli crescano e magari mi seguano.

La montagna dinverno è più difficile da dipingere en plein air?

Beh, solo per una questione di temperatura. C’è il limite tecnico dell’acquerello che è fatto con l’acqua: se si va sotto zero l’acqua congela e il colore cristallizza sul foglio. Ma vado avanti lo stesso finché non si congelano anche le mani.

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