AlpinismoNews

L’Everest e il K2 secondo Ed Viesturs

A tu per tu con il fortissimo alpinista statunitense che rifiuta il record attribuitogli dal Guinness dei primati

Anche le polemiche possono avere conseguenze positive. Lo dimostra la recente vicenda del “Guinness dei Primati”, che nell’edizione 2024 ha tolto a Reinhold Messner il titolo di primo collezionista dei 14 “ottomila”, e ha espulso dall’elenco anche altri eccezionali alpinisti come – tra gli altri – Jerzy Kukuczka, Erhard Loretan e Sergio Martini.

L’opinabile scelta del “Guinness”, però, è servita a far conoscere meglio nel mondo uno straordinario alpinista come Ed (in realtà Edmund, come Hillary) Viesturs, che ha completato nel 2005 la collezione, e che il librone dei record ha scaraventato suo malgrado al primo posto. Viesturs ha rifiutato il titolo, ha dichiarato più volte di essere “salito nelle tracce di Reinhold”. Poi è salito su un aereo ed è venuto a raccontare la sua storia al Festival dello Sport di Trento, dove lo abbiamo incontrato.

Il suo percorso, raccontato in due libri pubblicati anche in italiano (“In vetta senza scorciatoie” e “K2. La montagna più pericolosa”), è quello di un alpinista forte, prudente e deciso, che lavora da decenni come guida sulle cime più alte degli Stati Uniti e del mondo.
Non andiamo in montagna per i record, ma per il viaggio, abbreviarlo con l’elicottero è prima di tutto un peccato”, racconta Ed Viesturs. “Io ho sempre fatto “climbing”, cioè alpinismo. Le spedizioni di oggi fanno “summiting”, s’interessano solo alla vetta. Non mi piace

E’ vero che prima di venire a Trento lei non conosceva personalmente Reinhold Messner?
Sì. È stato un mio mito per tanti anni, il suo “Settimo Grado” è tra i libri che mi hanno spinto verso l’alpinismo, ma non lo conoscevo di persona. Sono grato al “Guinness” e alla polemica sugli “ottomila” per questo incontro.

Sapeva della popolarità di Messner in Europa? L’attenzione del pubblico nella serata al Teatro Sociale di Trento l’ha stupita?
Ero stato avvisato, anche da Reinhold, quando lo sono andato a trovare a Castel Firmiano. Però sono rimasto impressionato lo stesso. Negli Stati Uniti noi alpinisti siamo una comunità, un piccolo gruppo. Il grande pubblico ci ignora.

Si può fare un paragone tra Stati Uniti e Gran Bretagna? Anche lì gli alpinisti sono una comunità separata, ma quando si parla dell’Everest l’attenzione è massima.
E’ vero, ma di Everest ce n’è uno solo. E i tentativi di salirlo, a partire dal 1921, ne hanno fatto un simbolo per gli inglesi.

A proposito dell’Everest, mi ricorda quante volte lo ha salito?
Ho partecipato a undici spedizioni, sono arrivato in cima sette volte, tre delle quali senza ossigeno. Le altre volte facevo la guida, e per la sicurezza del cliente dovevo avere respiratore e bombole.

Quale spedizione ricorda con particolare emozione?
Il mio primo arrivo in vetta, nel 1990. Era la mia terza spedizione, e nel 1987 avevo fatto dietro-front cento metri più in basso. Quando sono arrivato in cima ho avuto l’impressione di aver completato un lungo viaggio. E mi sono reso conto di quanto dovevo a Messner e a Peter Habeler.

In che senso?
Perché loro, dodici anni prima, erano saliti sull’Everest senza ossigeno. Hanno avuto il coraggio di provare, hanno dimostrato che quello era un sogno possibile. E hanno aperto la via anche a me.

Nel 2019 le foto delle code sulla cresta sommitale dell’Everest, scattate da Nirmal Purja, hanno mostrato l’affollamento dell’Himalaya. Quel giorno ci sono stati dei morti. Lei si è trovato in situazioni simili?
Una volta sola, nel 2009. C’era una lunga coda prima dello Hillary Step, ci siamo sganciati dalle corde fisse e siamo passati avanti. Ma la maggioranza dei clienti non è in grado di sganciarsi, e resta lì in attesa.

Lei è ancora una guida in attività?
Sì, lavoro con la Madison Mountaineering, un’agenzia USA che organizza anche spedizioni agli “ottomila”. Tra qualche settimana andrò sui vulcani del Messico, poi all’Aconcagua e al Mount Vinson, in Antartide.

Congratulazioni. Ma tornerebbe sull’Everest?
Volentieri, ma non per la salita e basta. Dovrebbe essere un’occasione speciale, un film o un altro progetto.

Dopo l’Everest, in ordine di quota, c’è il K2. Il suo libro su quella straordinaria vetta è appena stato pubblicato in Italia con il titolo “K2. La montagna più pericolosa”. E’ una definizione giusta?
Credo di sì. La normale del K2 è sempre ripida e difficile, prima di decidere di continuare verso la cima bisogna riflettere se si sarà in grado di scendere. E poi c’è il Collo di Bottiglia, il ripido canale di neve sotto al seracco pensile. Nel libro lo chiamo “The Motivator”. Una presenza che ti spinge ad andare veloce e a restare lì il meno possibile.

Sotto a quel seracco, a fine luglio, è morto un portatore d’alta quota pakistano, Mohamed Hassan. Le immagini della fila di Sherpa e clienti che gli sfilavano accanto senza far nulla, prima in salita e poi in discesa, hanno commosso e scandalizzato il mondo.
Giudicare non è mai facile, due o tre degli Sherpa hanno cercato di aiutare Hassan, forse chi passava ha avuto l’impressione che qualcuno stesse già dando una mano, e ha proseguito.

In casi del genere sarebbe giusto rinunciare alla vetta e aiutare?
L’etica tradizionale dell’alpinismo dice questo, ma l’etica delle spedizioni commerciali è diversa. I clienti hanno pagato molti soldi, gli Sherpa continuano. Bisognerebbe spiegare ai clienti fin dall’inizio che in casi del genere si può e si deve rinunciare alla vetta.

Probabilmente Mohamed Hassan sarebbe morto comunque…
E’ vero, ma questo non cambia nulla! Sapere di aver provato a salvargli la vita avrebbe fatto un’enorme differenza.

Sotto al “Motivator”, nel 1954, si è svolta anche l’odissea di Walter Bonatti e di Mahdi. Lei conosce quella storia, ne ha scritto, sa delle polemiche che in Italia si sono trascinate per cinquant’anni.
Il sacrificio di Bonatti e di Mahdi ha dato un contributo enorme al successo della spedizione. Dopo il rientro avrebbe dovuto essere celebrato, invece è stato quasi nascosto.

Come mai, secondo lei?
Fin dall’inizio la spedizione italiana del 1954 ha avuto un enorme problema di leadership. La conseguenza più triste è che alla fine, nonostante il successo, tra gli alpinisti non c’è stata vera gioia.

Lei sa che, da queste parti, il K2 è considerato la “montagna degli italiani”. Lei pensa che invece sia la “montagna degli americani”?
Le contrapposizioni non hanno senso, le tre spedizioni americane del 1938, del 1939 e del 1953 hanno dato un contributo enorme alla vittoria italiana. Charles Houston ha dato ad Ardito Desio tutte le informazioni che aveva. E’ giusto fare così, gli alpinisti camminano nelle tracce di chi li ha preceduti.

E poi c’è stato Fritz Wiessner…
Vero. Nel 1939 è arrivato a 8400 metri, alla fine delle difficoltà, avrebbe potuto continuare fino in cima, cambiando la storia dell’alpinismo. Invece Pasang Lama, il suo Sherpa, ha chiesto di scendere, è poi è successo di tutto.

Non abbiamo spazio per parlare di tutti gli “ottomila”, ma per una domanda sull’Annapurna sì. Lei ha scritto più volte di essersi ispirato al team francese del 1950. La pensa ancora così?
Sì, e non solo perché “Annapurna. Il primo 8000” di Maurice Herzog è tra i libri su cui mi sono formato. La spedizione del 1950 è stata veloce, rapida, coraggiosa. Dopo la vetta gli altri componenti del team, da Lionel Terray, Gaston Rébuffat, tra i migliori alpinisti del mondo, si sono messi a disposizione di Herzog e Lachenal e hanno salvato loro la vita. Un esempio di spirito e di lavoro di squadra.

Eberhard Jurgalski e il “Guinness” hanno attaccato Messner proprio per l’Annapurna. Che ne pensa?
Io sono arrivato in vetta da nord, come i francesi, per una via non difficile ma sempre più pericolosa. Messner e Hans Kammerlander hanno salito una parete gigantesca, hanno compiuto un exploit colossale. Certo che hanno salito l’Annapurna!

Tags

Articoli correlati

Un commento

  1. Veramente Viesturs ha scritto 4 libri, non due, oltre a In Vetta Senza Scorciatoie e il libro sul K2 ne ha scritto anche uno sull‘Annapurna e uno sull‘Everest e sono tutti bellissimi!!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close