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A tu per tu con Daniela Berta, direttore del Museo della Montagna di Torino

Nel 2024 il museo compirà 150 anni, ma non li dimostra. Tra le storiche mura sul Monte dei Cappuccini non ci si ferma mai: mostre, eventi e nuovi allestimenti sono sempre all’ordine del giorno

Il presente, come il passato, è un panorama. Dal terrazzo del Museo della Montagna, nelle giornate serene, si vedono la città di Torino e più di 400 chilometri delle Alpi. Verso sud svetta la piramide del Monviso, proprio di fronte il Rocciamelone sorveglia la Valle di Susa. Chiudono la sfilata il Gran Paradiso e i “quattromila” del Monte Rosa.

E’ stato il panorama sull’arco alpino, 150 anni fa, ad far sì che gli alpinisti torinesi, tra un’ascensione e l’altra, frequentassero il Monte dei Cappuccini che domina il Po e la città. Nel 1885, alla “Vedetta” eretta dal Club Alpino Italiano si affiancò un primo salone con diorami, fotografie e modellini. Era il primo museo alpino d’Europa, che è servito da esempio a quelli Chamonix e di Zermatt, di Monaco di Baviera e di Berna.

Da allora, negli anni, nel Museo è arrivato un po’ di tutto. Un kayak della spedizione del Duca degli Abruzzi nell’Artico e le statue buddhiste raccolte da Mario Piacenza in Ladakh. Un bivacco del CAAI e le tende della spedizione del 1954 al K2 e una utilizzata da Reinhold Messner sugli “ottomila”.

Il complesso del Monte dei Cappuccini ospita anche la Biblioteca nazionale del CAI, una Cineteca e Videoteca storica e un Centro di documentazione. Diciotto anni fa, nel 2005, il Museo è stato completamente riallestito, nel 2018 lo storico direttore Aldo Audisio è stato sostituito da Daniela Berta. E’ lei a raccontarci lo stato di salute del Museo, e a indicarci le iniziative future.

Sei mesi fa avete dedicato una sala a Walter Bonatti nella collezione permanente del Museo. Con che risultati?
Ottimi, sia da parte dei media sia da parte del pubblico. Ora l’effetto-novità è finito, ma i visitatori si soffermano a lungo in quello spazio. Bonatti emoziona anche i giovani, e suscita emozioni forti in tutti.

Sono previste nuove iniziative dedicate a Bonatti?
Certamente sì, il suo sterminato archivio, che custodiamo dal 2016, comprende diari, materiale alpinistico e ben 110.000 fotografie. Faremo qualcosa di nuovo ogni anno, ma senza trasformarci in un Museo Bonatti.

Quanti visitatori avete?
Siamo tornati a 60/65.000 visitatori all’anno, come prima del Covid-19. Continua a crescere l’interesse del pubblico per i nostri canali web e i nostri social. Dai 271.000 visitatori del 2022 siamo passati a oltre 400.000 nel 2023, e l’anno non è ancora finito.

E voi quanti siete?
Lo staff del Museo, me compresa, è di 10 persone. Delle visite e dei laboratori si occupa una cooperativa esterna.

Chi sono i visitatori del Museo della Montagna? Avete un loro identikit?
Vengono molti soci del CAI, e molti turisti in visita a Torino, spesso con la carta Piemonte Musei. Abbiamo molti visitatori giovani, che fanno delle visite mirate.

Alle scolaresche proponete dei laboratori didattici. Su che temi?
Uno è dedicato proprio Walter Bonatti. Un altro si chiama “Diario di viaggio”, e ha al centro il Duca degli Abruzzi. Uno dei laboratori più seguiti s’intitola “Come si fa lo zaino”. Sul nostro sito c’è un’apposita sezione.

Alla collezione permanente, e ai laboratori, il Museo affianca una nutrita serie di mostre. Cosa si può vedere in questi giorni? E cosa sta per arrivare?
Dallo scorso giugno, e fino al 14 gennaio 2024, c’è la mostra sul Cervino curata da Hervé Barmasse, che in estate è stata esposta in forma ridotta anche a Ceresole Reale. Dal 7 ottobre, sulla terrazza panoramica, campeggia l’installazione “L’acqua del 2000”, realizzata dall’artista Cosimo Veneziano nell’ambito dell’Art Site Fest di Torino.

Arte e montagna si alternano, vero?
Proprio così. Martedì 31 ottobre si inaugura “Stay with me. La montagna come spazio di risonanza”, dove la ricerca del walking artist viennese Michael Höpfner incontra quella della sound artist zurighese Magda Drozd.

Alcune mostre che avete allestito sono state esposte anche altrove…
Esatto. Quella sull’artista bavarese Adolf Kunst è stata esposta a Trento durante il Festival della Montagna. “Treetime”, dedicata alle foreste e alla sostenibilità, è passata al MUSE di Trento, e ha avuto 72.000 visitatori. “Stati di grazia”, dedicata a Bonatti, riaprirà l’8 novembre alla Galleria Civica di Bolzano.

Nel 2024 però si torna in montagna. Come celebrerà il Museo i 70 anni dalla prima ascensione del K2?
Gran parte della memoria della spedizione Desio, e della vittoria di Compagnoni e Lacedelli, fin dal 1956 si conserva nei nostri archivi. Stiamo lavorando a una sezione dedicata al K2 nella nostra collezione permanente. Nel 2024, però, festeggeremo anche noi stessi, perché la Vedetta Alpina, da cui è nato il Museo, è stata inaugurata il 9 agosto del 1874, ovvero 150 anni fa.

Da qualche anno vi coordinate sempre più strettamente con gli altri Musei di montagna del mondo.
È vero, siamo tra i soci fondatori dell’IAMF, l’International Alliance for Mountain Film, e dell’IMMA, l’International Mountain Museums Alliance, nata con il patrocinio della Mountain Partnership della FAO. E’ un lavoro che ci impegna sempre di più, ma che mi piace moltissimo.

Chi aderisce all’associazione dei musei?
Tra i soci fondatori, insieme a noi, sono il Musée Alpin di Chamonix (Francia), il Muzeum Tatrzańskiego di Zakopane (Polonia), il Servei General d’Informació de Muntanya di Sabadell (Spagna) e il Whyte Museum of the Canadian Rockies di Banff (Canada). Più tardi hanno aderito i musei di Tolosa (Spagna), di Chambéry e Lourdes (Francia) e di Berna (Svizzera). Mi fa piacere l’adesione dell’International Mountain Museum di Pokhara, in Nepal.

In Italia ci sono decine di piccoli musei dedicati alla montagna. Non riuscite a creare un coordinamento?
Non è facile, perché si tratta di realtà molto diverse, gestite a livello locale, spesso affidate al volontariato.

Come mai nell’elenco non c’è il Museo di Zermatt? E’ uno dei più antichi, e la corda spezzata nella tragedia del 1865 sul Cervino attira migliaia di visitatori ogni anno.
Abbiamo avuto dei contatti, ci stiamo lavorando.

È possibile per il Museo della Montagna di Torino e per i vostri colleghi dell’IMMA, un collegamento con i Messner Mountain Museum? Sono interessanti e famosi, e hanno moltissimi visitatori.
Lo so bene, mi piacerebbe molto, ma coordinarsi con Reinhold Messner non è facile. Spero che ci riusciremo, un giorno.

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