Itinerari

Intorno al Gran Paradiso si spazzolano i prati per conservare la biodiversità

Il Parco Nazionale Gran Paradiso si è dotato di uno speciale macchinario per recuperare i semi che serviranno a ripristinare correttamente le aree compromesse

Spazzolare i prati e i pascoli per raccogliere semi maturi da utilizzare in aree da ripristinare garantendo alti livelli di biodiversità. È questo che consente la “spazzolatrice elettrica”, un macchinario recentemente acquistato dal Parco Nazionale Gran Paradiso, tra i pochissimi in Italia a essersene dotato: un’innovazione che porta con sé diversi benefici al fine della conservazione attiva della biodiversità. Andrea Mainetti, referente dell’Ufficio Conservazione botanico-forestale del Parco, ci ha spiegato come funziona.

Che cos’è la spazzolatrice elettrica?
Una macchina che “accarezza e pettina” il prato per prelevare soltanto i semi portati in cima agli steli e poco più: il cosiddetto fiorume, un materiale molto ricco, particolarmente adatto per seminare. La spazzolatrice ha delle ruote che sembrano quelle di una bicicletta, ma piene, e può andare su tutti i terreni, anche particolarmente pendenti, molto più di un trattore che rischia di ribaltarsi. Funziona a propulsione elettrica, è di fabbricazione svizzera e ha una batteria che dà un’autonomia di otto ore, perfetta per noi che lavoriamo in montagna, dove non si hanno prese di corrente a disposizione e si cerca di evitare attrezzatture e macchinari a combustibili fossili. L’altezza di lavoro della spazzola è regolabile, permette di operare sia nei prati di fondovalle dove l’erba è molto alta sia sui pascoli alpini, dove l’erba è rasa. Quando c’è per esempio un cantiere di movimento terra, per riseminare possiamo utilizzare questi semi raccolti con la spazzolatrice elettrica. Sono semi del posto, quindi molto adatti alle condizioni ecologiche locali, ed è questa la cosa interessante, perché consente di preservare la biodiversità e realizzare i cosiddetti “ripristini ecologici”.

Come funziona la procedura?
Noi sappiamo che ci sarà uno scavo e che quindi avremo necessità di riseminare efficacemente l’area evitando di introdurre specie non presenti nel Parco o dannose. Individuiamo un prato o un pascolo donatore adatto come composizione di specie botaniche, attendiamo che i semi maturino al punto giusto. A quel punto andiamo con la spazzolatrice, raccogliamo il fiorume, in parte lo secchiamo già in campo sotto al sole e in parte lo stocchiamo in un nostro locale di servizio per farlo seccare completamente. Poi lo setacciamo per separare quella poca paglia e gli steli che ci sono dal seme puro. Una volta che è seccato abbiamo a disposizione un mix di semi pronti per la semina, un composto estremamente ricco di specie, perché spazzoliamo prati o pascoli donatori precisi che sono molto vari e ricchi di biodiversità.

Se la semina non avviene immediatamente, riuscite a conservare i semi?
Sì, dai tre ai cinque anni. Questo perché essendoci diverse specie, alcuni semi perderanno di germinabilità prima e altre dopo. In genere poi si raccoglie in estate e inizio autunno, alla maturazione dei semi a seconda delle diverse quote, e si risemina nel tardo autunno, così da dare il tempo ai semi anche di prendere il freddo invernale e predisporli alla germinazione in primavera.

Che vantaggio c’è nell’utilizzare i semi raccolti dalla spazzolatrice?
Il fiorume si raccoglie quando è maturo sul prato, fornisce quindi un seme giovane, nuovo, che germina di più. La stessa cosa si potrebbe fare con un fienile, ma in questo caso i semi potrebbero essere vecchi anche di cinque o dieci anni. Rispetto all’utilizzo di semi in commercio, quelli raccolti con la spazzolatrice hanno la garanzia di essere specifici e particolarmente adatti al contesto: questo significa anche che negli anni dureranno di più, saranno più resistenti.

Quest’anno quante raccolte avete fatto con la spazzolatrice?
Abbiamo effettuato tre raccolte in prati e pascoli differenti: uno a 1100 metri a Locana in Valle Orco, uno a 1900 metri in Valsavarenche in Valle d’Aosta e un altro a 2200 metri, al Nivolet, nuovamente in Piemonte. In parte i semi li abbiamo già reimpiegati, dove era necessario riseminare una scarpata in fretta utilizzando materiale adatto, e in parte li abbiamo stoccati.

Per il campo che “subisce” la raccolta ci sono degli svantaggi?
La spazzolatrice è una macchina leggera e dotata di ruote piccole, quindi non può più di tanto schiacciare il prato, cosa che non piace all’agricoltore, perché su un prato schiacciato poi diventa difficile soprattutto fare il fieno, mentre è meno problematico se deve essere poi semplicemente pascolato. In ogni caso riconosciamo un indennizzo agli agricoltori, perché chiediamo loro di aspettare a usare i loro prati finché i tempi non sono maturi e allo stesso tempo togliamo pochissimi chili di semi, non tanto per le quantità ma perché costituiscono una parte buona del loro foraggio. In sostanza c’è un accordo con gli agricoltori, è un’operazione che piace e non disturba.

Abbiamo citato i ripristini ecologici, cosa sono?
Laddove ci sono ambienti degradati, per cantieri aperti dagli uomini oppure per disturbi naturali, come una frana o l’ingresso di una specie aliena invasiva estranea al contesto, si ripristina il più velocemente possibile un ecosistema naturale, ricco di specie e con una sua funzionalità. Questo filone del ripristino ecologico e dell’attenzione alla biodiversità è peraltro il mandato primario dell’Ente Parco, in quanto tutti i parchi si occupano di conservazione della biodiversità degli ecosistemi, e, laddove ci sono degli ambienti degradati, un ripristino ecologico è qualcosa di estremamente importante, un’azione di conservazione attiva veramente efficace.

L’uso della spazzolatrice elettrica è una novità in Italia e nel mondo?
In altre zone delle Alpi, come in Francia, in Svizzera e in Austria, è già in uso, mentre in Italia è usato da alcuni anni in Alto Adige. Noi siamo il primo Parco italiano ad avere questo macchinario così adatto alla montagna e a zero emissioni. Abbiamo l’intenzione di renderlo disponibile a chi serve e per la verità lo abbiamo già prestato. Quest’anno, per esempio, lo abbiamo dato in comodato per un progetto della Regione Piemonte e dell’Università degli Studi di Torino che si chiama “Prà da Smens” (in dialetto “prato da seminare”).

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