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Michele Cucchi parla dei “suoi” ghiacciai

Acqua che scorre sulla superficie 24 ore al giorno, distacchi importanti, pendii agevoli trasformati in muri di ghiaccio. Dopo il caldo di luglio c’è poco da stare allegri

Michele Cucchi
Michele Cucchi

Michele Cucchi, Guida alpina di Alagna Valsesia, è uno dei professionisti della montagna più rappresentativi e rispettati. Uomo carismatico, conosce il Monte Rosa come pochi. Con lui abbiamo fatto una lunga chiacchierata sulle condizioni particolarmente difficili dei ghiacciai valdostani di questo periodo.

Com’è la situazione dei ghiacciai dopo il caldo di luglio?
Una premessa: quest’anno subito dopo il trofeo Mezzalama a fine aprile, è arrivato quel che io chiamo una sorta di monsone primaverile: in 40 giorni sono arrivati più di 3 metri di neve fra i 3.500 e i 4.000 m di quota. Parlo di monsone, anche se impropriamente, perché mi sembra che le nostre stagioni assomiglino sempre più a quelle asiatiche, con le opportune differenze, ma dove a  periodi di tempo molto secco e stabile si alternano altri periodi con grandi precipitazioni ed eventi atmosferici sempre più estremi, proprio come succede da quelle parti. E questo deve suonare come un importante campanello di allarme.

Le precipitazioni di fine aprile e di maggio quest’anno hanno comunque salvato la situazione dei nostri ghiacciai fino quasi ai 3000 metri. Dopo l’inverno, privo di precipitazioni rilevanti, erano in condizioni veramente disastrose che io non avevo mai visto in oltre 30 anni di attività soprattutto sul Monte Rosa. Tanto per dare l’idea in parecchie valli del Piemonte quest’inverno abbiamo avuto problemi di acqua potabile a causa delle precipitazioni quasi del tutto assenti. Di solito queste cose succedono in estate.

Dopo questa fase di precipitazioni importanti abbiamo assistito a un giugno con tempo stabile e una condizione dei ghiacciai ottimale anche per lo skialp. A luglio è arrivato il gran caldo che ha stravolto le condizioni in pochissime settimane. Per fare un esempio, la via di salita alla Punta Giordani, uno dei 4.000 più semplici, è passata in 3 settimane da condizioni scialpinistiche discrete con tutti i crepacci ben chiusi al ghiaccio vivo come se fossimo a settembre. Inoltre si verifica una notevole circolazione d’acqua in superficie 24 ore su 24 e non solo di giorno come accade nelle stagioni normali. Grandi quantità d’acqua che si muovono sopra e all’interno dei ghiacciai sono molto pericolose in quanto spesso si infiltrano andando a ledere la struttura stessa del ghiaccio rendendolo instabile e formando a volte dei veri e propri laghi sotterranei che vanno a pesare sulle masse glaciali causandone il distacco e il crollo. Queste infiltrazioni di acqua non sono facilmente monitorabili soprattutto in tempi brevi e comunque non sono assolutamente paragonabili a quelle che c’erano fino a 5-10 anni fa.

Come consigli di approcciare l’attività sui ghiacciai per limitare al massimo il rischio?
Il rischio zero non esiste. Bisogna innanzitutto informarsi sui rischi oggettivi andando a controllare bollettini meteo, temperature in quota, esposizione dell’itinerario nelle varie ore della giornata, andamento storico del meteo stagionale ecc.

Ma secondo me in considerazione di tutto quello che ci siamo detti sui cambiamenti climatici attuali e sulle conseguenti variazioni dei ghiacciai certi itinerari alpinistici, che storicamente si percorrevano a luglio e agosto, dovrebbero essere anticipati di almeno un mese.

Alcuni esempi?
La normale alla Giordani: una volta a luglio salivi su neve dura gelata di notte che si trasformava durante la mattina, ora si presenta come un muro di ghiaccio vivo cosparso di detriti che cadono dalle creste soprastanti.

Oppure la traversata del Naso del Lyskam che collega il rifugio Gnifetti al Quintino Sella. Il versante del Quintino Sella è diventato un muro di ghiaccio mentre prima era una traversata relativamente semplice. Anche l’accesso ad alcune creste che una volta erano facilmente raggiungibili è diventato molto difficile perché sull’itinerario ci sono moltissimi crepacci aperti il cui superamento allunga di molto i tempi di percorrenza. Le creste stesse, a causa dello scioglimento del permafrost, che teneva compatte le rocce fra loro, stanno diventando molto instabili con crolli continui. Pochi giorni fa all’accesso della Cresta del Soldato è stato registrato un crollo importante con rocce delle dimensioni di un furgone che volavano sul ghiacciaio sottostante.

A tuo avviso gli alpinisti sono consapevoli di queste problematiche?
Non tutti. Soprattutto i nuovi fruitori della montagna che non hanno una memoria storica di quello che erano le condizioni di 5-10-15 anni fa come abbiamo noi. Le condizioni sono completamente diverse. Ma per chi frequenta la montagna da poco tempo vedere così tanta acqua in circolo è la normalità perché non sa com’era prima e quindi rischia di non reputarlo un pericolo serio.

Esiste la possibilità che una guida alpina per continuare a lavorare alzi l’asticella del rischio?
Una Guida seria deve saper modificare il suo modus operandi in base a quelle che sono le condizioni della montagna, questo in qualsiasi caso non solo sui ghiacciai, valutando il pericolo, fornendo indicazioni responsabili ai propri clienti e prendendo decisioni di conseguenza. Un esempio lampante è quello che è successo l’anno scorso a Cervinia quando le guide alpine locali hanno deciso di interrompere le ascensioni al Cervino perché era diventato troppo pericoloso. Non è stata un’ordinanza del sindaco o un divieto, nel senso che gli alpinisti se volevano potevano salire, ma le guide hanno reputato che le condizioni fossero troppo pericolose per continuare ad accompagnare i clienti. Quindi si sono presi la responsabilità di una scelta che comportava il pericolo di lavorare meno per un discorso esclusivamente di sicurezza. E in questi casi è prassi che anche tutte le guide alpine provenienti da altri luoghi si adeguino alla decisione di quelle locali. Anche qui al Monte Rosa come associazione guide l’anno scorso siamo andati molto vicini a una decisione di quel tipo per le temperature troppo elevate; poi siamo stati fortunati, il meteo è cambiato e le temperature sono rientrate nella norma riportando le condizioni ad una parvenza di normalità.

Sono cambiate le tipologie degli incidenti o delle chiamate al Soccorso alpino?
La platea degli appassionati di montagna si è allargata a dismisura quindi la quantità di chiamate e di interventi è aumentata proporzionalmente. Arrampicatori, appassionati di canyoning, ciclisti, escursionisti e anche gli alpinisti ormai sono tantissimi. Notiamo soprattutto che non tutti sono in grado di comunicare in modo anche approssimativo la loro posizione che è fondamentale per accelerare le operazioni di soccorso. Per i soccorritori avere delle coordinate certe è fondamentale per ottimizzare il dispendio di energie e di tempo. Quindi è molto importante nella preparazione di un attività considerare e conoscere anche le modalità di eventuale richiesta di soccorso. Oggi tante applicazioni e molti device, anche gli stessi telefonini, hanno un gps che può fornire la posizione e può essere comunicata in fase di richiesta di soccorso. Da poco l’app Georesque del Club Alpino Italiano è stata resa gratuita ed è un ottima applicazione da scaricare e conoscere.

Fondamentalmente sono comunque sempre importanti le buone abitudini di informare parenti o amici di quel che andremo a fare in montagna. In caso di mancato rientro la persona a cui siamo abituati mandare un messaggio o farci sentire a fine gita saprà dare delle indicazioni precise ai soccorritori che potranno restringere di molto l’area di ricerca e i tempi d’azione. A questo proposito sono appena sceso da un elicottero per la ricerca di 2 alpinisti svizzeri che sono partiti dal rifugio Capanna Regina Margherita per scendere a valle 5 giorni fa durante una mattinata con alcune ore di tempo brutto e una leggera nevicata. Solo questa notte è arrivata una telefonata degli amici che ne hanno denunciato la scomparsa. A questo punto diventa veramente difficile sperare di trovare qualcuno vivo dopo 5 giorni oltre i 4000 m. Se qualcuno degli amici o familiari dei due svizzeri fosse stato a conoscenza dei loro programmi, non ricevendo notizie il giorno stesso avrebbe potuto allertare i soccorsi 4 giorni prima. Allo stesso tempo poi, i familiari o amici stessi, non devono andare in allarme per un minimo ritardo che ci può stare. E’ importante trovare un equilibrio anche con le buone abitudini.

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