Ambiente

Sull’Himalaya è allarme siccità

Gli effetti dell’aumento delle temperature porteranno all’esaurimento della principale riserva idrica continentale entro il 2100

Tutto il mondo è paese. Un detto perfettamente calzante con la situazione di estrema emergenza che stanno vivendo le grandi catene montuose a livello mondiale. I cambiamenti climatici sono un dato di fatto. Le sue conseguenze sono ancora più evidenti nelle aree delle grandi catene montuose. L’Himalaya, il più importante sistema montuoso del continente asiatico, sta vivendo una situazione di profonda sofferenza idrica. Secondo uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’International Centre for Integrated Mountain Development (ICIMOD) di Katmandu la superficie dei ghiacciai himalayani è destinata a ridursi drasticamente.

I ghiacciai dell’Himalaya e in particolare della regione dell’Hindu Kush (la catena montuosa che si estende dall’Afghanistan centro occidentale alla Provincia della frontiera del Nord-Ovest e delle Aree tribali del Pakistan, ndr) si stanno ritirando con un ritmo senza precedenti: tra il 2011 e il 2020, con una velocità superiore al 50% rispetto a quella del decennio precedente. Per il futuro, nella medesima area, entro fine secolo si parla di una contrazione pari all’80% dell’attuale superficie glaciale; in altri termini la quasi totale scomparsa dei ghiacciai himalayani.

Gli scienziati affermano: “I cambiamenti nei ghiacciai, nella neve e nel permafrost della regione dell’Hindu Kush Himalaya (HKH) hanno come causa i cambiamenti climatici e il più delle volte vanno incontro a una situazione di irreversibilità”.

Una stima tanto pessimistica quanto realistica, basata sulle previsioni di un continuo aumento delle temperature su scala globale. Lo studio, a oggi, rappresenta la valutazione più accurata per analizzare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla criosfera asiatica di alta montagna, con una mappatura degli impatti su diverse componenti: acqua, biodiversità e, non ultima, società.

Il peggio deve ancora venire

Secondo lo studio, qualora continuassimo a emettere gas serra in atmosfera nella stessa percentuale di quanti ne emettiamo oggi, con un aumento annunciato delle temperature pari a + 3° C circa rispetto all’era preindustriale, i ghiacciai himalayani potrebbero verosimilmente perdere tra il 55 e l’80% del loro attuale volume entro il 2100. Lo studio rivela che “il manto nevoso diminuirà così come l’estensione dei ghiacciai e quella del permafrost, il che porterà anche all’aumento del numero dei fenomeni di instabilità dei versanti e problematiche per le strutture in alta quota”.

Uno scenario che, qualora non venissero presi provvedimenti in grado quantomeno di limitare gli effetti del cambiamento climatico, porterebbe con sé gravissime conseguenze per coloro che abitano la regione e non solo. Se in un primo momento l’intensa fusione delle masse glaciali himalayane determinerà un’importante disponibilità idrica, questa condizione lascerà presto il passo a una crisi dalle enormi conseguenze trasversali, peraltro in parte già in atto. Tutto questo avverrà in una regione che sta già vivendo in prima persona le conseguenze del cambiamento climatico: l’80% delle precipitazioni sono concentrate nei quattro mesi della stagione monsonica, sempre più breve, calda e con eventi meteorici intensi.

I ghiacciai dell’Himalaya come riserva idrica

I ghiacciai himalayani non si configurano solo come patrimonio paesaggistico e meta alpinistica di fama mondiale, ma sono, soprattutto, un’importante riserva idrica; una fonte d’acqua in grado di alimentare alcuni dei principali fiumi del continente asiatico, tra i quali l’Indo, l’Āmū-Daryā e anche il “fiume sacro”, il Gange. Un’area, quella dell’Hindu Kush, ancora oggi sede della più importante riserva di ghiaccio del Pianeta dopo i due Poli, tanto da essere definita come il Terzo Polo. Un’area su cui si sviluppano ben 15.000 ghiacciai con un’estensione areale superiore ai 100.000 km². Una riserva idrica per 240 milioni di persone che abitano la regione e oltre 1,65 miliardi di asiatici.

Gli scienziati che hanno portato avanti lo studio prevedono “conseguenze devastanti per la sicurezza idrica e alimentare, per alcune forme di approvvigionamento energetico, gli ecosistemi e le vite di centinaia di milioni di persone che abitano le aree montuose dell’Himalaya e per quelle che vivono a valle di esse”. Una crisi idrica annunciata che porterà con sé anche una rimodulazione delle specie vegetali e animali presenti nell’area: “Sono già evidenti il declino e l’estinzione di alcune specie, con la migrazione verso quote sempre più elevate e il degrado degli attuali ecosistemi con l’invasione di specie aliene”.

Cambio di strategia: la gestione dello straordinario attraverso azioni ordinarie

La situazione in “casa nostra” non è poi molto diversa, anzi. Anche noi ci apprestiamo a vivere, e in parte lo stiamo già facendo, situazioni difficili legate agli effetti dei cambiamenti climatici. Infatti, la crisi climatica ci impone di guardare al futuro spostando lo sguardo verso le montagne. Vanno trovati nuovi equilibri in grado di stare al passo coi tempi e capaci di rispondere alle nuove esigenze. Vanno sapute cogliere le nuove opportunità che le sfide del domani ci porranno di fronte, cogliendone i benefici diretti e indiretti. Insomma, vanno introdotte nuove strategie capaci di rispondere a una crisi senza precedenti, con azioni integrate e diversificate a seconda degli specifici contesti territoriali.

In sintesi, non servono sempre e solo piani emergenziali, messi in campo nel momento dell’emergenza, bensì interventi legati a una pianificazione ordinaria capace di favorire la mitigazione e ancora meglio l’adattamento ai cambiamenti climatici. La vera sfida sarà gestire la straordinarietà della situazione che ci apprestiamo a vivere in modo ordinario. La conoscenza porta alla consapevolezza, con quest’ultima come base per lo sviluppo di nuove forme di equilibrio con il nostro pianeta.

Concludo con una piccola riflessione: siamo noi quelli in pericolo non il sistema Terra. Solo con questo cambio di prospettiva saremo in grado di “salvarci” e salvare le generazioni future. L’uomo con le sue scelte può e deve scrivere un nuovo equilibrio con le dinamiche naturali. E questo va fatto il prima possibile. La conoscenza delle dinamiche ambientali dev’essere il caposaldo della nuova pianificazione dei territori alpini.

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