AlpinismoAlta quota

Peter Hámor torna in Nepal per tentare l’inviolata parete Ovest del Kabru Sud

Compagni di avventura Nives Meroi e Romano Benet

“La stagione delle arrampicate invernali in casa sta volgendo lentamente al termine ed è ora di andare in un luogo dove c’è ancora abbastanza neve e montagne per tutti”. Si apre così il messaggio condiviso sui social dall’alpinista slovacco Peter Hámor per annunciare la prossima partenza alla volta dell’Himalaya. “Come sarà la prossima stagione in Himalaya? Quante persone si concentreranno ai campi base delle montagne la cui altezza inizia con l’otto magico e fino a dove sarà possibile portare quest’anno il livello di servizio delle agenzie che organizzano le salite su tali cime?”, si domanda e domanda al mondo degli appassionati Hámor, per poi arrivare a rispondere alla domanda che sorge spontanea fin dalle prime righe: quale sarà la sua destinazione? Lo rivela con un iniziale giro di parole, affermando che “la magia dell’Himalaya non è solo nella loro altezza, ma soprattutto in quelle che sono le “possibilità sostanzialmente inesauribili” che offre a tutti coloro che vi si recano “per romanticismo, esplorazione, sport e avventura da decenni”. Una premessa che esclude chiaramente gli Ottomila. E dunque? “Anche dopo più di settant’anni, ci sono ancora tanti posti nell’Himalaya nepalese di cui sappiamo poco o nulla – prosegue in un crescendo di curiosità Peter, dichiarando che l’elemento più bello dell’alpinismo sia la ricerca e il superamento dei propri limiti in compagnia di buoni amici. Ma insomma dove andrà? “Quest’anno vado in una zona lontana del Nepal orientale con persone simpatiche e piacevoli”. Obiettivo sarà la parete Ovest del Kabru Sud (7318 m), una delle cime della catena del Kabru (termine che letteralmente può essere tradotto come “valanga bianca”), al confine tra Nepal e Sikkim (India). Le persone simpatiche e piacevoli saranno Nives Meroi e Romano Benet.

Una parete vergine

La parete Ovest della vetta himalayana su cui ha messo gli occhi Peter Hámor, riconosciuto come il Settemila più meridionale della Terra, risulta essere ancora inviolata. Il programma “di viaggio” prevede una fase di acclimatazione nella zona del vicino Kangchenjunga, con ascesa di “diverse cime di 5000/6000 metri”, come riportato sul suo blog. Le salite verranno realizzate in stile alpino, senza portatori e senza uso di ossigeno supplementare.

Secondo quanto riportato dall’American Alpine Club, dal versante nepalese del Kabru sono stati effettuati solo 3 tentativi di salita, di cui il più recente realizzato nella primavera 2004 da parte di un team di alpinisti serbi che sotto la guida di Dragan Jacimovic ha tentato l’ascesa della parete Ovest del Kabru Sud. Il 14 aprile la squadra allestì il campo base a circa 4600 metri sulle morene del ghiacciaio Yalung, a nord-ovest della vetta del Rathong (6682 m). Nei giorni successivi furono in grado di piazzare circa 800 metri di corde fisse su una parete particolarmente verticale (85°), raggiungendo quota 5200 metri dove fu allestito il campo 1. A rallentare la progressione il distacco di un seracco, che distrusse la parte bassa della via e danneggiò le corde fisse in 4 punti. Qualche giorno più tardi, nel tentativo di avanzare fino a un ipotetico C2, a una quota di quasi 6000 metri, Jacimovic precipitò in un crepaccio. Soccorso dal compagno di cordata Milos Ivackovic, il capospedizione riportò una lussazione alla spalla. Persa la forza trainante del gruppo, si optò per l’abbandono della spedizione, con il proposito di ritentare l’anno successivo. La prima e unica salita in vetta al Kabru Sud, realizzata passando dal versante indiano, risale al 1994 ad opera di una spedizione dell’esercito indiano guidata dal maggiore A Abbey.

Un passato di montagne con l'”8 magico”

Le famose montagne “la cui altezza inizia con l’8 magico” Peter ad ogni modo le conosce bene e sono state la sua principale meta fino allo scorso anno, quando ha tentato la traversata del Kangchenjunga. Quello che sta per iniziare è semplicemente, come ben descritto nel suo post, un nuovo capitolo, più esplorativo, tra le vette d’Himalaya. Nel suo palmarès vanta 15 salite sui 14 Ottomila. Il primo della lista è stato l’Everest nel 1998. Nel 2006 è stata la (prima) volta dell’Annapurna, salita alla vetta principale realizzata in solitaria passando per una nuova via lungo la parete Sud e la cresta orientale, attraverso il Roc Noir (7845 m). Nello stesso anno ha aggiunto alla collezione anche il Cho Oyu (8201 m) e il Broad Peak (8047 m). A seguire ha salito il Nanga Parbat (8126 m) passando per la Diamir nel 2007, e nel 2008 Gasherbrum I (8068 m) e Gasherbrum II (8035 m). Nel 2010 ha realizzato la seconda salita dell’Annapurna, stavolta passando per la via classica lungo la parete Nord, e nel 2011 l’ascesa del Makalu (8.463 m). Nel 2012 ha compiuto la salita in solitaria del Kangchenjunga (8586 m) lungo la via britannica, e quella del K2 (8.611 m). Il 2013 è stato l’anno del Lhotse (8516 m), il 2014 dello Shisha Pangma (8027 m). Nel 2016 è riuscito a scalare il Manaslu (8.163 m) e nel 2017 il Dhaulagiri (8167 m), completando così la cosiddetta Corona dell’Himalaya (primo slovacco a completare i 14 Ottomila tra l’altro).

E accanto ai 14 Ottomila è anche riuscito a collezionare le Seven Summits, tra il 2000 e il 2003: la Piramide Carstensz in Nuova Guinea, il Denali in Nord America, il Kilimanjaro in Africa, l’Aconcagua in Sud America, l’Elbrus in Europa e il Monte Vinson in Antartide. A minore distanza da casa, ha messo a segno una serie di salite impegnative e prime ascensioni sui Tatra e belle avventure sulle Alpi, come il completamento della trilogia alpina (Nord di Eiger, Cervino e Grandes Jorasses) in compagnia di Pavlo Jackovič.

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