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Antartide, nel deserto più arido del mondo c’è vita

Per quanto possa sembrare incredibile, il deserto più arido del mondo non è in Africa o in Sudamerica, ma in Antartide: come su Montagna.tv abbiamo già raccontato, nell’area delle McMurdo Dry Valleys non cade una goccia di pioggia da circa 2 milioni di anni. Ancora più incredibile è che in un ambiente così estremo, gli scienziati siano stati in grado di individuare tracce di vita. Un grande balzo avanti negli studi microbiologici nell’area è stato realizzato dai ricercatori dell’Università di Pretoria (in Sudafrica). Di seguito capiamo che cosa hanno trovato, come hanno fatto e perché questo potrebbe essere importante per l’esplorazione dello Spazio.

Che cosa hanno trovato in Antartide

Fino a 50 anni fa, si riteneva che il deserto antartico potesse ospitare solo una ristretta biodiversità microbica. L’avvento delle nuove tecnologie consente oggi di rivedere tale ipotesi. Il team di studiosi, guidato dal professor Don Cowan, responsabile del Centro di Ecologia microbica dell’Università UP, è riuscito infatti a rinvenire, nei terreni ghiacciati, aridi e secchi (dry, appunto) delle McMurdo Dry Valleys, un numero di microrganismi decisamente superiore al previsto. Secondo quanto spiegato nel documento ufficiale dell’ateneo, i ricercatori avrebbero trovato una concentrazione di 1-10 milioni di cellule per grammo di suolo: è tantissimo rispetto a quanto stimato nel passato (meno di 1000 cellule per grammo di suolo), ma ovviamente pochissimo rispetto ai valori caratteristici di un’area temperata e ricca di nutrienti, dove si arriva anche a 100 milioni di cellule per grammo di terreno.

Come hanno fatto

Il team guidato da Cowan è stato uno dei primi a usare moderne tecniche di eDNA sui suoli antartici, un metodo che permette di estrarre tutto il DNA possibile da un campione e fornire informazioni su tutti gli organismi presenti in quel campione: “Questo ci ha dato un’idea completamente diversa del panorama microbico della zona”, hanno spiegato i ricercatori.

Restava da capire come queste microscopiche forme di vita avessero avuto accesso all’acqua, sempre fondamentale per sopravvivere, in un territorio dove appunto non piove mai: pur se circondate dal ghiaccio, le McMurdo Dry Valleys stanno in quel 3% dell’Antartide dove ghiaccio non ce n’è. E dove dunque non c’è nemmeno acqua e dove il contenuto di acqua del suolo è molto basso, in genere inferiore all’1%. Che cos’è successo, allora? L’ipotesi è che alcuni microrganismi dell’Antartide usino l’idrogeno presente nell’atmosfera come fonte di energia, la cui ossidazione produce acqua. In parole povere, questi microrganismi si fanno da soli l’acqua di cui hanno necessità: “L’importanza dell’ossidazione dell’idrogeno nel fornire acqua alle comunità microbiche del suolo non è ancora nota, ma è una domanda intrigante e interessante”, ha detto ancora Cowan.

Che c’entra l’esplorazione spaziale?

Il punto importante da tenere presente, come sottolineato dal team dell’Università UP, è che gli organismi nei suoli antartici devono sopravvivere a condizioni estreme e che gli adattamenti molecolari che consentono loro di farlo possono aiutare a comprendere i meccanismi di sopravvivenza della vita sulla Terra. E pure nello Spazio. È così perché le McMurdo Dry Valleys, sorta di Valle della Morte dei ghiacci, sono l’ambiente terrestre che maggiormente ricorda Marte, tant’è che vengono spesso usare per testare gli equipaggiamenti da utilizzare (in un futuro lontano ma non troppo) nelle spedizioni sul Pianeta Rosso. E se la vita è presente qui, se ha trovato un modo per avere accesso all’acqua anche dove acqua in teoria non ce n’è, chissà che qualcosa del genere non possa succedere, o possa essere successo in passato, pure su Marte. Lo scopriremo quando ci arriveremo, ma l’ipotesi è già affascinante così.

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