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La morte dell’orso Juan Carrito. Una tragedia annunciata?

“Speed kills bears”. “La velocità uccide gli orsi e voi stessi”. “Rallentare”. I cartelli, simili a quelli dei parchi degli USA, sono comparsi da qualche anno tra San Sebastiano e Bisegna, tra Pescasseroli e Gioia Vecchio, e sulle altre strade d’accesso al Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise. Il colore arancione li fa vedere nei momenti più pericolosi, all’alba, al tramonto, quando la montagna è innevata e frenare diventa difficile. Il Parco ha dato una mano a installarli, ma a prendere l’iniziativa è stata l’associazione Salviamo l’Orso, molto attiva per la salvaguardia del plantigrado.

Sul tratto della statale 17 che sale da Castel di Sangro a Roccaraso, e che è percorso d’inverno dagli sciatori che salgono da Napoli, da Caserta e dalla Ciociaria verso le piste, i cartelli che chiedono di rallentare non ci sono. Anche se fossero stati installati, però, avrebbero difficilmente scongiurato l’incidente che la sera di lunedì 23 gennaio è costato la vita a Juan Carrito, il più celebre orso “confidente” d’Abruzzo.

Intorno alle 18, nei pressi del cimitero di Castel di Sangro, l’animale è stato investito da un’auto guidata dal venticinquenne L.G. Ha agonizzato per due ore accanto al guard-rail, con le zampe spezzate e il sangue che gli usciva dalla bocca, è morto intorno alle 20. I video dell’orso agonizzante, girati con i cellulari dai presenti, offrono uno spettacolo ripugnante, ma hanno invaso Instagram e Facebook.

La morte di Juan Carrito è stata seguita da commenti di rito, e da altri toccanti. “La sua perdita rattrista non solo l’Abruzzo, ma il mondo intero che ha scoperto l’Abruzzo e la bellezza degli orsi attraverso video che lo ritraevano sin da cucciolo con i suoi fratelli e l’orsa Amarena” ha dichiarato Marco Marsilio, presidente della Regione.

“Stasera siamo tutti un po’ più poveri, perché se n’è andato uno di famiglia” ha aggiunto Giovanni Cannata, presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Il direttore dell’area protetta Luciano Sammarone, in un’intervista al Giornale Radio RAI, ha parlato della fine dell’orso con voce spezzata e commossa.

“Ieri è stata una triste giornata per la natura italiana ed europea” spiega un comunicato del WWF Italia. “La sua morte sottolinea quanto siano necessari interventi strutturali su strade, autostrade e ferrovie per mettere in sicurezza la residua popolazione di orso bruno marsicano, troppe volte vittima di investimenti. Troppo spesso mancano politiche (locali, regionali e nazionali) che prevedano azioni concrete per mitigare il nostro impatto sulla preziosa e unica biodiversità che ci circonda”.

La storia di Juan Carrito è stata raccontata molte volte su Montagna.tv. L’orso, soprannominato inizialmente Ganimede, era uno dei quattro cuccioli dell’orsa Amarena, che nell’estate 2020 sono stati fotografati e filmati nei pressi di Villalago e di San Sebastiano.

Nei mesi successivi, mentre i tre fratelli si sono inseriti nella natura, Juan Carrito si è abituato a nutrirsi avvicinandosi all’uomo. Dai pollai e dagli stazzi di Carrito (da cui il nome), Collarmele e Pescina, è passato ai cassonetti di Roccaraso. Sono diventate celebri le sue incursioni in una pasticceria, e nel ristorante dello chef stellato Niko Romito.

Nei resoconti dell’incidente di lunedì sorprende l’imprecisione nei riferimenti geografici. Il servizio del GR RAI che abbiamo citato poco fa parla di Castel di Sangro come un borgo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (invece è ampiamente all’esterno), e non fa riferimento al Parco Nazionale della Maiella, che negli ultimi due anni e mezzo ha operato insieme al PNALM. Un anno fa, dopo essere stato catturato, Juan Carrito è stato chiuso nell’area faunistica di Palena, ai piedi della Maiella, e poi liberato ad alta quota sul massiccio, nel tentativo di riportarlo a uno stile di vita “naturale”.

Nelle vicende dell’orso marsicano, di cui sopravvivono tra i 50 e i 60 esemplari, le strade e le altre opere dell’uomo hanno avuto spesso un ruolo tragico. Nel luogo della morte di Juan Carrito, nel 2019, era stata investita un’orsa. Un anno prima, un’orsa e i suoi due cuccioli erano annegati in una vasca-abbeveratoio piena d’acqua presso Villavallelonga. Nello stesso manufatto, sei anni prima, erano morti altri due plantigradi, ma solo dopo la seconda tragedia i proprietari hanno colmato l’invaso.

“Le strade sono il problema più serio, ci vogliono più coordinamento e più interventi” spiega Luciano Di Martino, direttore del Parco Nazionale della Maiella. Negli anni Novanta Franco Tassi, storico direttore del PNALM, aveva chiesto un limite di velocità per i pochi chilometri di strada statale tra il bivio della Camosciara e Villetta Barrea, che considerava una “trappola per orsi”. In trent’anni né l’ANAS né la Regione Abruzzo, che oggi gestisce l’arteria, hanno fatto nulla, e auto, camion e furgono continuano a sfrecciare.

Nell’inverno 2020-’21 dopo che Amarena e i suoi cuccioli erano stati visti traversare la A25 Roma-Pescara, la società Autostrada dei Parchi ha accettato di collaborare con il PNALM per costruire recinzioni adeguate. “Il Parco, Salviamo l’Orso e il WWF si sono impegnati per installare una recinzione nel tratto della statale 17 più pericoloso per la fauna selvatica. Recentemente è stata montata una recinzione metallica per i 600 metri dal km 146,600 al km 147,200, per indirizzare gli animali verso un sottopasso. Non è bastato” prosegue il comunicato del WWF.

Coordinamento, attenzione anche fuori dalle aree protette, interventi sulle strade e non solo. Il pericolo per gli orsi non può essere eliminato, ma la ricetta per ridurlo è già scritta, da anni, nei documenti del PATOM, il Piano Territoriale per la Tutela dell’Orso Marsicano. Accanto all’ANAS, e agli Assessorati alla Viabilità delle Regioni interessati, altri enti hanno fatto meno di quello che era giusto e possibile fare.

Il Comune di Roccaraso, sempre pronto a chiedere fondi pubblici per gli impianti di risalita e di innevamento, non ha trovato le poche decine di migliaia di euro per installare dei cassonetti a prova di orso. la Regione Lazio per anni ha boicottato le riunioni del PATOM. L’ISPRA, cui spettano le decisioni in materia di fauna selvatica, non ha mai brillato per la rapidità delle sue decisioni.

In Italia, da qualche tempo, intorno a orsi e lupi non tira una buona aria. Entrambi i mammiferi, simboli della natura selvaggia, hanno iniziato a essere considerati come dei pericoli. In Trentino, dove l’“orso ribelle” M49 langue in una gabbia nell’area faunistica del Casteller, i meravigliosi animali che vivono nelle foreste dell’Adamello e del Brenta, e che attirano migliaia di visitatori, sono scomparsi dalla promozione turistica della Provincia, e vengono trattati come un fastidio e un problema.

Le proposte per riaprire la caccia al lupo, da tempo, si sono moltiplicate in Italia e nell’Unione Europea. C’è anche un pericoloso vuoto di potere, perché i ministri dell’Ambiente e della Transizione Ecologica, da Roberto Cingolani (governo Draghi) a Gilberto Pichetto Fratin si sono concentrati sulle questioni energetiche, disinteressandosi della natura e dei Parchi.

L’investimento dell’orso Juan Carrito tra Castel di Sangro e Roccaraso ha addolorato decine di migliaia di italiani ed europei. Se la sua morte, se anche le terribili immagini della sua agonia contribuiranno a invertire questo andazzo, la fine dell’“orso confidente” d’Abruzzo potrebbe non essere avvenuta invano.

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2 Commenti

  1. la verità è che in Italia non interessa niente agli enti pubblici di questi problemi… se invece di orsi fossero stati centri commerciali in un attimo avevano svincoli e viabilità ad hoc!

  2. da adesso quando trovero’ una persona agonizzante investita da un’auto le farò un video mentre muore postandolo sui social per insegnare all’essere umano ad andare pianino in auto…MAH!!!
    se vado in montagna vado piano, specie quando cala il sole e gli animali cominciano ad uscire. Sarebbe come andare ai 90 all’ora davanti ad una scuola. E CMQ quelli che hanno girato il video vanno denunciati…nessun commento quando la bestia è l’uomo?

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