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I giorni della merla sono davvero i più freddi dell’anno?

Avete mai sentito parlare dei giorni della merla? Sono il 29, il 30 e il 31 gennaio e sono considerati i più freddi dell’anno. Ma è davvero così? E da dove nasce questa espressione?

Secondo l’enciclopedia Treccani i giorni della merla sarebbe una “espressione di origine lombarda, allusiva a un’antica leggenda, con cui sono indicati gli ultimi tre giorni di gennaio, ritenuti i più freddi dell’anno”. Eppure esistono diverse versioni della leggenda che avrebbe dato il nome a queste giornate, e in alcune zone addirittura ci si riferisce a tre giorni diversi (30, 31 e 1 febbraio per esempio nel cremonese): tranne una, tutte le storie si riferiscono in ogni caso a una famiglia di uccelli.

Secondo una prima storia, una merla dal piumaggio candido doveva scontrarsi ogni anno con la dispettosa personificazione del mese di gennaio, che ricopriva sempre il terreno di neve e ghiaccio e seminava vento e tempesta, rendendole così davvero difficile riuscire a procurarsi il cibo. Stufa della situazione, la merla decise di fare scorte di cibo sufficienti a non dover uscire per tutto il mese – che a quel tempo durava solo 28 giorni. Rimasta al caldo per tutto il tempo, la merla uscì dalla sua casa e iniziò a prendere in giro gennaio. Non si può dire che lui la prese con filosofia: permaloso e vendicativo, chiese al fratello febbraio, che durava 31 giorni, tre giornate in prestito, durante le quali scatenò una terribile bufera. Per riuscire a sopravvivere, la merla si nascose in un camino, dal quale uscì a febbraio tutta ricoperta di fuliggine: da allora gennaio ha 31 giorni e i merli hanno le piume nere. La leggenda ha comunque un fondo di verità: nell’antico calendario romano il primo mese dell’anno aveva effettivamente 29 giorni.

In una delle possibili varianti, è protagonista una famiglia di merli, che deve spostare il nido da un albero a sotto una grondaia per proteggersi dalla neve. A causa del gelo era difficile trovare del cibo, così il merlo volò lontano dal nido per fare provviste. La merla, rimasta con i piccoli nel mezzo di una bufera, spostò di nuovo il nido su un tetto vicino, dove c’era un comignolo da cui usciva un po’ di calore. Terminata la tormenta, tre giorni dopo, il merlo riuscì finalmente a tornare, ma stentò a riconoscere la sua famiglia, ora tutta con le penne nere a causa del fumo. Da lì i merli furono sempre neri e quei giorni di freddo terribile vennero ricordati con quel nome.

Esistono comunque riscontri anche con la cultura latina e greca, con una leggenda che vede la merla come una messaggera di Persefone – gli uccelli venivano visti nell’antichità come messaggeri degli dei – che annuncerebbe alla madre Demetra (o Cerere) il suo ritorno dal regno dell’Ade, e quindi l’imminente arrivo della primavera.

Vi è anche una leggenda che non si basa su animali piumati: nel compendio “Modi di dire toscani ricercati nella loro origine” (1740) di Sebastiano Pauli si narra di un pesante cannone di ghisa, chiamato “la Merla” per il suo colore nero, che doveva essere trasportato da un lato all’altro del Po da un manipolo di soldati piemontesi. Era gennaio, e i soldati non riuscivano a costruire un ponte di barche per far passare il cannone a causa delle acque impetuose. Negli ultimi giorni del mese, però, arrivò un vento così gelido da ghiacciare anche le acque del fiume, con uno strato tanto spesso da non essere rotto nemmeno con le spade o gli archibugi. In questo modo i soldati decidono di trasportare il cannone sopra il fiume ghiacciato, legandolo e trascinandolo con alcune corde. Gli ultimi giorni di gennaio vennero quindi soprannominati i giorni della Merla in ricordo del grande cannone e di quelle giornate così fredde da aver fatto gelare le acque del Po.

Una variante un po’ più tragica prevede l’attraversamento del Po ghiacciato da parte di una coppia di merli, oppure di sposi, o di una nobildonna. Una o entrambe le parti avrebbero rotto il ghiaccio morendo nelle acque gelide, e pare che i tristi lamenti di cordoglio si possano ancora sentire in quelle fredde notti di gennaio. Anche i soldati potrebbero essere periti tutti nell’impresa…

Secondo una credenza popolare, se i giorni della merla sono freddi significa che l’inverno è quasi finito e la primavera sarà bella, mentre se sono miti quest’ultima tarderà ad arrivare… Ma sono davvero i giorni più freddi dell’anno? Il detto popolare potrebbe basarsi sul fatto che le giornate a fine di gennaio sono idealmente a metà tra il 21 dicembre, solstizio d’inverno, e il 21 marzo, equinozio di primavera. L’inverno climatico, però, inizia il 1 dicembre e finisce il 28 febbraio. Le statistiche nel nostro Paese mostrano come il periodo di freddo più intenso sia intorno al 10 gennaio nel Nord Italia, intorno al 15 al Centro e intorno al 20 nel Sud Italia. Dai dati del Centro Geofisico Prealpino, per il periodo dal 1967 al 2015, si ha che la temperatura media di quei giorni è di 3.6°C, la media delle temperature massime è di 7.3°C e di quelle minime è -0.1°C.

Se si considera che la temperatura media di gennaio, sempre calcolata negli stessi anni, è di 2.9°C, abbiamo che quella dei giorni della merla è di 0.7°C superiore. Secondo quanto riferito dalla Fondazione OMD – Osservatorio Meteorologico Milano Duomo, dai “dati raccolti dagli inizi del ‘900 a oggi le temperature registrate nei periodi compresi tra il 29 gennaio e l’1 febbraio non sono state necessariamente le più basse dell’anno”. Anzi: le giornate in cui la temperatura massima è stata inferiore a 0°C, tra il 29 gennaio ed il 1 febbraio, sono state solo 12 e la più recente risale al 31/01/1963. Solo 8 sono state le giornate, tra quelle date, in cui ha nevicato, e quasi altrettante – 6, per la precisione – sono state quelle con temperature massime superiori ai 15°C. Se poi volessimo fare una classifica, in base alla temperatura minima, dei giorni più gelidi di sempre, per trovarne uno della merla dovremmo scendere fino alla quindicesima posizione – e sarebbe il 29/01/1907, non esattamente un giorno recente. Quindi no, i giorni della merla non sono i più freddi dell’anno, anche se a molti, soprattutto ai nostri nonni, piace ricordarli così…

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