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Il Vallone delle Cime Bianche e il CAI “ambientalista estremista”

Le parole di un politico valdostano, qualche giorno fa, hanno riportato in primo piano due questioni importanti, e che vale la pena ricordare. La prima è il progetto di un collegamento sciistico tra la Valtournenche e Champoluc attraverso il Vallone delle Cime Bianche. Un progetto ideato per unire il comprensorio di Cervinia-Zermatt con il Monterosa Ski, che interessa la Valle d’Ayas, Gressoney e la Valsesia. Un collegamento che darebbe vita a un unico domaine skiable con 580 chilometri di piste. Al prezzo, però, della devastazione di uno dei pochi valloni ancora integri ai piedi del Monte Rosa e del Cervino. La seconda questione riguarda l’anima e gli obiettivi del Club Alpino Italiano, che si è schierato contro gli impianti nel Vallone. Non a caso, a portare la questione fuori dai confini della Valle d’Aosta è stato Marco Albino Ferrari, scrittore e giornalista che ha diretto Alp e Meridiani Montagne, e che da qualche settimana è il direttore editoriale e il responsabile delle attività culturali del CAI. Un mese fa, nel presentarlo, il sito ufficiale Loscarpone.it ha scritto che Ferrari “intende rafforzare l’impronta ambientalista delle attività culturali” del Club fondato da Quintino Sella.

Un tweet riapre lo scontro

Prima di andare avanti è bene ricordare chi è l’esponente politico che ha riportato le due questioni in primo piano. Luciano Caveri, 64 anni tra pochi giorni, non è “un politico valdostano” come tanti. Casomai è “il” politico, l’uomo che ha rappresentato per decenni la Vallée in Italia e in Europa. A lungo esponente dell’Union Valdôtaine, lo storico partito autonomista, Caveri ha rappresentato a Montecitorio dal 1987 al 2001 la Valle d’Aosta (che a causa dei pochi residenti elegge solo un deputato e un senatore), per poi diventare parlamentare europeo. Nell’ottobre del 2020, eletto in Consiglio Regionale nella lista Vallée d’Aoste Unie è diventato Assessore all’Istruzione, Università, Politiche giovanili, Affari europei e Partecipate. Lo scorso 27 novembre, su Twitter, Luciano Caveri ha dato un giudizio pesantissimo sul CAI. “Ormai il Club Alpino Italiano è entrato in pieno nell’area ambientalista estremista. Perderanno iscritti e credibilità, con una visione del futuro della montagna ideologica e irrealistica. Peccato…”. Tre giorni dopo, in una seduta del Consiglio Regionale, ha rincarato la dose. “Mi domando questo sodalizio dove stia andando, una volta era solidale nei confronti di una presenza umana in montagna. Penso a presidenti illuminati come Annibale Salsa, che ha scritto cose meravigliose sulla presenza umana in montagna”. “Se non si possono fare attività economiche entriamo in una logica pauperistica, torniamo a un mondo rurale, un mondo di sogno, utopistico, al buon selvaggio di Rousseau che vive col suo gozzo”. “La politica della montagna vuol dire modernità, vuol dire infrastrutture”. Speriamo, nei prossimi giorni, di poter approfondire questi temi con l’Assessore Caveri, che la delega alle Partecipate rende parte in causa, dato che la Regione Valle d’Aosta partecipa al capitale delle società Funivie del Cervino e Monterosa Ski.

La posizione contro i nuovi impianti

Negli anni scorsi, Luciano Caveri aveva usato toni analoghi in altri interventi pubblici e nel suo blog www.caveri.it/blog. A spingerlo a esternare, stavolta, è stata probabilmente la petizione del comitato Ripartiamo dalle Cime Bianche (www.lovecimebianche.it), al quale aderisce anche il CAI, che è stata firmata da 2.300 valdostani, e che è attualmente al centro di una serie di audizioni da parte del Consiglio Regionale. La petizione ricorda che “i propositi di realizzare impianti funiviari nel Vallone si stanno scontrando con la realtà di un territorio tutelato dalla normativa europea, statale e regionale, per la sua conformazione non adatta allo sci, e in cui non si sa dove posizionare la stazione intermedia”.

Gli ambientalisti sostengono che “l’ecosistema verrebbe irrimediabilmente alterato e deturpato dagli impianti”. Le sue caratteristiche, invece, potrebbero essere “la leva di uno sviluppo sociale e economico armonico e duraturo, e per diversificare l’offerta turistica, che non può continuare a essere incentrata unicamente sullo sci”.

Il Comitato ricorda che il Vallone è tutelato a livello europeo dalla ZSC-ZPS IT1204220 Ambienti glaciali del gruppo del Monte Rosa, e propone l’istituzione di un Parco che comprenda anche il Vallone di Nana e i pianori di Tzère e di Verra, che confinano con il Parco piemontese dell’Alta Valsesia. “Con 50 milioni di euro, la metà del costo del collegamento funiviario, si garantirebbero 40 anni di vita del Parco e almeno 15/17 posti di lavoro qualificati e permanenti, e si diversificherebbe l’offerta turistica durante tutto l’anno” continua il Comitato. Non a caso, al recente concorso per 3 guardiaparco al Parco regionale del Mont Avic hanno partecipato 200 candidati, e a quello per 9 posti al Parco nazionale del Gran Paradiso si sono presentati in 1.100.

Il Cai è un’associazione di “ambientalismo estremista?

Ogni cittadino valdostano, italiano e del mondo può naturalmente pensarla come vuole. Ma è vero, come sostiene l’Assessore Caveri, che aderire a proposte di questo tipo fa del Club Alpino Italiano un’associazione di “ambientalismo estremista?” Forse no.

Marco Albino Ferrari, che nel CAI ha un ruolo importante, ricorda che “il Monte Rosa è una delle aree con maggiori densità di piste, mentre si contano molti meno sciatori di vent’anni fa. Ma se già c’è tanta abbondanza, perché voler costruire nuovi impianti nelle poche zone vergini rimaste quando lo sci è in calo? Perché costruire nuovi impianti se le temperature si alzano, la neve scarseggia e l’energia per produrla ha un costo economico e ambientale sempre maggiore?”. Non sono osservazioni da poco. La domanda su quale modello di sviluppo scegliere riguarda i Comuni di Valtournenche e di Ayas, la Regione Valle d’Aosta, il Governo italiano e l’Unione Europea, ma anche l’opinione pubblica, le associazioni (tra le quali il Club Alpino) e la stampa.

Lo stesso Ferrari, su Facebook, ricorda di aver sfogliato il numero di novembre de Le Frecce, la rivista che viene distribuita gratis ai viaggiatori. E di aver scoperto un articolo che lodava la “prossima realizzazione del collegamento sciistico tra Zermatt, Cervinia, Valtournanche, Gressoney, Champoluc, Alagna. 580 chilometri di piste. Un futuro da record per il più grande comprensorio d’Europa”. Il destino del Vallone delle Cime Bianche è in bilico, e ognuno ovviamente può dire la sua. In una fase delicata come quella che stiamo vivendo, però, sarebbe bene usare toni tranquilli. E spiegare a chi ha scritto e ispirato l’articolo su Le Frecce che il turismo in montagna non è fatto solamente di piloni e di sci. Presentare il quel modo il collegamento significa (per ora!) dare delle informazioni truffaldine ai lettori.     

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4 Commenti

  1. Questi politici,ricordiamolo sempre,pagati da noi,quando non sanno più cosa dire parlano sempre di “estremismo e ideologico” ovviamente nella definizione negativa. Caveri,poi cita Annibale Salsa,ma cosa c’entrano gli studi di Salsa con gli impianti sciistici? Non se ne può più di questa gente,mandiamoli in miniera a Cogne o a Ollomont

  2. Quello che vogliono fari i politici valdostani vuol dire solo portare traffico e inquinamento ovunque, anche nelle pochissime aree naturali rimaste intatte; traffico e inquinamento significano attualmente solo deprezzamento del territorio e diminuzione della sua importanza turistica; i politici e i loro mass media al seguito (al codazzo si potrebbe dire), sono sempre tutti pronti a esaltare nelle loro varie pubblicità la bellezza di un luogo, ma poi sempre pronti a ad alterarlo, invece, nella sua naturalità.

    Le persone che vanno in vacanza in val d’ ayas erano solite affittare case anche per lunghi periodi estivi, ora non più; era una tradizione consolidata che si è spenta progressivamente, a causa della continua e ripetuta aggressione al territorio: basti pensare alla frazione di Saint Jacques in alta valle, che è sempre stata considerata un luogo magnifico di villeggiatura alpina, ove si recavano anche personaggi di alta levatura politica e culturale; poi nei valloni circostanti è arrivato lo “sci”; sarà un caso (ma non lo è) che Saint Jacques era un piccolo borgo, ma molto vivo turisticamente, con il suo utile “indotto”, con negozio di alimentari, articoli sportivi, ecc. ora è un paese fantasma.

    E’ così, in tutta la val d’ Ayas: rispetto ad anni passati, si avverte la sempre maggior presenza della speculazione edilizia e del voler trasformare la montagna, anche in questi luoghi, in una specie di luna park per trogloditi.

    Per quanto riguarda il vero motivo per cui si vuole costruire una ulteriore “pista” se cerchiamo di dare una spiegazione razionale, basata sullo sci stile anni settanta ecc. non possiamo trovarla; è evidente che le motivazioni sono altre, si vuole costruire una pista da sci, ancora, per le stesse motivazioni che attualmente portano alle guerre più assurde, al ponte sullo stretto, alla alta velocità ferroviaria mentre i treni più usati, quelli regionali e dei pendolari sono da terzo mondo… il motivo è la voracità di questo sistema economico folle, parossistico, nel quale viviamo.

    Trovo sempre curioso, anzi interessante, che in questo caso, come in altri, chi fa parte del partito dello sci, diciamo così’, abbia un cognome italiano, mentre, chi si oppone, sia originario della VDA, ma tant’è. Forse che la narrazione secondo la quale tutte quanto è collegato allo sci non è negli interessi dei residenti è falsa?

  3. Sarebbe un’opera meramente psicotica idearla e realizzarla e francamente mi auspico che realizzino il nulla. In un comprensorio così vasto e bello, vedere la natura come Dio ce la ha consegnata e non relegarla a futili interessi economici a danno della collettività. La cosa più gradita che si possa sperare, è (la montagna che peraltro sta già soffrendo); di lasciare i monti così come sono per preservarli.

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