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Stop alle valanghe: cosa facciamo per cercare di fermarle?

Se durante un’uscita con le pelli o con le ciaspole possiamo cercare di muoverci in aree in cui sia fortemente improbabile che si inneschi una valanga, per strade, case e altre infrastrutture può essere più complicato. Che cosa si può fare per proteggere edifici e vie di collegamento?

I primi paravalanghe: i boschi

I paravalanghe per eccellenza, decisamente sostenibili, sono i boschi: vengono chiamati “protettivi” o “di protezione” nel momento in cui viene individuata una fonte di pericolo – valanga, caduta massi, frana o erosione – e i danni potenziali che questa potrebbe creare – nel caso siano presenti infrastrutture come strade o ferrovie, zone abitate o coltivate, piste da sci o stazioni di risalita. Gli alberi permettono di stabilizzare il manto nevoso, prevenendo o rallentando la valanga, ma è necessario attuare una corretta gestione forestale in modo che possa continuare a fornire la sua utile azione protettiva. Nel caso di taglio, per esempio, è meglio che i ceppi vengano lasciati alti fino a petto d’uomo, risultando più efficaci contro le valanghe rispetto a quando vengono tagliati a livello del terreno. La composizione delle specie arboree – conifere o latifoglie – è un aspetto molto importante, insieme al numero di piante per unità di superficie, al loro diametro e alla posizione del bosco stesso. Si distinguono poi due tipologie di questi boschi, quelli con funzione autoprotettiva, che proteggono il sito sul quale si trovano, e quelli con funzione eteroprotettiva, che svolgono questo compito per siti che si trovano a valle.

Quando serve l’azione dell’uomo

Dove, per un motivo o per l’altro, non è possibile avere boschi, magari per la quota o la pendenza, l’uomo realizza strutture artificiali concepite per stabilizzare il manto nevoso nella zona di distacco, impedendo l’innesco di valanghe o rendendo inoffensivi i movimenti di neve appena iniziati che non possono essere completamente bloccati. Le valanghe in pieno movimento esercitano forze che le opere di sostegno, di solito, non sono in grado di sopportare – i danni causati sono infatti proporzionali alla velocità delle masse nevose in movimento. La scelta del tipo di struttura deve avvenire in funzione delle esigenze di ciò che si vuole proteggere, tenendo in considerazione le condizioni locali di innevamento, la topografia e le caratteristiche del terreno di fondazione. Le reti da neve sopportano meglio i movimenti di scorrimento e la caduta di sassi, ma sono più difficili da ancorare in terreno sciolto.

Quali sono i pendii che hanno bisogno di simili interventi? In genere quelli con inclinazione compresa fra 30° e 50° (58%–119%) devono essere premuniti. In alcuni casi, però, può essere necessario intervenire anche su zone con maggiore o minore pendenza, per esempio se ci si trova al di sopra di pendii ripidi o in aree meno scoscese all’interno di una zona di distacco. Le strutture di sostegno andranno poste sotto i più alti fronti di rottura – osservati o potenziali – di valanghe di neve a lastroni. Se ci si trova sotto una cresta sulla quale si formano cornici, bisognerà rimanere il più vicino possibile alla sua base, evitando però che reti o griglie vengano seppellite. Se siamo su un terreno roccioso molto ripido con pericolo di caduta sassi o blocchi di ghiaccio, sarà necessario avere superfici di sostegno molto resistenti, o adottare per essi opere di deviazione o di arresto come terrapieni e reti paramassi.

Nelle zone vegetative, magari colpite da schianti, spesso si opta per rastrelliere in legno, in grado di rimpiazzare temporaneamente la funzione del bosco, per consentire il successivo rimboschimento (e garantire una protezione naturale anche dopo un’eventuale degradazione della barriera). Esistono altrimenti reti o barriere fermaneve realizzati in metallo. Devono essere ancorate nel terreno più o meno perpendicolari al pendio e con un’altezza almeno pari a quella della neve.

A protezione di singole o piccoli gruppi di case è possibile realizzare, subito a monte, terrapieni o cunei a difesa diretta, che deviano la valanga rispettivamente al di sopra o a lato delle abitazioni da difendere. La stessa scelta può essere fatta nei tratti meno pendenti della zona di scorrimento, per rallentare o far espandere lateralmente la valanga, o si può optare per argini di deviazione, che indirizzano altrove la massa nevosa riducendone il potenziale distruttivo.

Se si tratta di creste su cui si formano cornici – ovvero accumuli di neve ventata potenzialmente pericolosi – è possibile posizionare soffioni e deflettori da vento, che hanno la funzione di alterare il flusso del vento ostacolandone la creazione. Vi sarà poi capitato di transitare in auto in strane gallerie in calcestruzzo, spesso aperte su un lato, su cui si trovano archi o pilastri: ebbene, sono gallerie paravalanghe, e possono essere posizionate prima e dopo le normali gallerie o in altre zone a rischio. In genere la loro copertura è inclinata verso valle, per far sì che il materiale di caduta non si accumuli al di sopra, ma scivoli verso il basso.

Esiste, poi, un’ulteriore possibilità: quella di innescare la valanga in maniera preventiva, per far sì che il distacco avvenga nel momento e nella zona voluti. È quanto avviene soprattutto per mettere in sicurezza aree sciistiche, strade o ferrovie, ovviamente previa evacuazione nei luoghi potenzialmente minacciati. Con una scarica esplosiva o un’esplosione di gas viene creata un’onda d’urto sul manto nevoso, che, se va a segno positivamente, provoca una slavina controllata, rendendo improbabile il successivo innesco naturale di una grande valanga distruttiva nello stesso settore, in genere fino alla significativa nevicata successiva. Si tratta quindi di una misura temporanea di protezione.

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Un commento

  1. Un Signore dei monti cantava così.
    🙂 Di solito le valanghe cadono sempre dove son sempre cadute 🙂
    E poi aggiungeva.
    E continueranno così, anche se noi miseri esseri umani talvolta riusciamo a fare qualcosa per farle cadere solo quando c’è più neve del solito…. o più spesso quando combiniamo grosse stupidaggini col territorio.
    Ora noi potremmo dire.
    Bisogna sperare nel cambiamento climatico 🙂

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