Meridiani Montagne

Monviso in miniatura

Testo di Gian Luca Gasca, tratto dal numero di Meridiani Montagne “Monviso, Valle Varaita e Valle Po”

Lassù, a oltre duemila metri, la vita non è facile e le comodità sono limitate. L’ho imparato fin da subito, quando nell’estate 2008 sono arrivato al rifugio Vallanta per guardare il Monviso dal suo versante più severo e maestoso. Ero convinto di godermi un’estate in montagna. Ma ben presto ho capito che le giornate sarebbero state ben diverse. Quello al Vallanta è stato il mio primo lavoro. Una stagione al servizio degli alpinisti, facendo un po’ di tutto. Sì, perché in rifugio quando si guasta qualcosa bisogna rimboccarsi le maniche e trovare una soluzione.

Ricordo il profumo della mattina. Un misto di caffè e legno, che prima dell’alba accompagnava le nostre colazioni, prima che la frenesia della giornata ci portasse via restituendoci esausti solo a sera, a guardar le stelle con in mano un bicchiere di genepy. Io ero addetto al lavaggio dei piatti, una postazione privilegiata che grazie a una piccola finestra mi permetteva di osservare i camminatori partire o arrivare dal Colle di Vallanta. Molti seguivano il Giro del Viso, altri rientravano stanchi e bruciati dal sole, scendendo dalle verticali pareti del Re di Pietra.

A far da sfondo, come un’aquila silente, il vecchio rifugio Gagliardone. Nato nel 1935 come rifugio Città di Saluzzo, il Gagliardone ha avuto una vita travagliata. Più volte distrutto dalle valanghe, è stato sempre ricostruito per garantire ai pochi alpinisti di un tempo un tetto sopra la testa. Con Livio, storica guida del Monviso e rifugista per oltre trent’anni, capitava di andare qualche volta a salutare la sua vedetta. Lì il mestiere non era comodo come al Vallanta, ripeteva spesso prima di immergersi nei ricordi di una vita. Spedizioni in giro per il mondo, vie dure e difficili. Ma il Monviso era un’altra storia. Livio c’era mentre costruivano il “suo” Vallanta. Il rifugio in cui sarebbe entrato per primo, quello dove avrebbe accarezzato il legno del bancone e dei tavoli. Dove avrebbe aperto le finestre a ogni estate, per poi sigillarle l’ultimo giorno della stagione. Il luogo che avrebbe imparato a chiamare casa.

Un nuovo e moderno rifugio

I primi alpinisti partono quando ancora è buio. Consumano una colazione frugale per poi uscire in sordina, cercando di non svegliare gli altri ospiti. Puntano alla Nord o la Nordovest del Monviso. Due pareti difficili, dove corrono gli itinerari più estremi tra quelli che permettono di raggiungere i 3841 metri della cima più alta delle Alpi Cozie. Un monte che per lungo tempo è stato considerato come il più alto d’Italia. Merito anche della sua forma piramidale, che rende il Re di Pietra inconfondibile anche da centinaia di chilometri di distanza. Vera e propria icona, che diventa imprinting nella memoria dei valligiani. Tutti i bambini qui disegnano le montagne a punta! E spesso ne accoppiano due: una più alta, il Monviso, e una più piccola, il Visolotto. Un’influenza che rimane anche negli adulti e, a quanto pare, negli architetti Giuseppe Bellezza e Maurizio Momo, quando hanno immaginato il Vallanta. Siamo a 2450 metri, sulle sponde del Lago della Bealera Founsa, nelle cui acque si rispecchiano le rocce verdi del Monviso. Per raggiungere il rifugio si parte dalla frazione Castello di Pontechianale, in Valle Varaita, e ci si inerpica su per il ripido sentiero, prima costeggiando il fresco Bosco dell’Alevé, poi un vigoroso torrente che accompagna i passi dei camminatori fino alla scalinata di accesso al rifugio. Un Monviso in miniatura! È questo il primo pensiero che viene alla mente quando finalmente la meta si palesa davanti ai loro occhi.

I lavori per la costruzione del nuovo rifugio iniziarono verso la metà degli anni Settanta, dall’esigenza di fornire un’adeguata accoglienza alla crescente frequentazione di alpinisti e camminatori. Poi, tra il 1974 e il 1978 un abile gruppo di operai mise a punto una centrale elettrica alimentata dalla forza dell’acqua, la stessa che ancora oggi permette al rifugio di avere energia. Dieci anni dopo, il 25 settembre 1988, il rifugio Vallanta fu inaugurato.

Una struttura singolare per il tempo. Non più la classica baita in pietra con tetto in losa o lamiera, ma un rifugio nuovo e moderno sviluppato secondo uno studio paesaggistico. Articolato “su pianta a forma di triangolo rettangolo, leggermente sfrangiata sul lato dell’ipotenusa, coperto da un tetto a falda unica con pendenza verso sud” si legge nel volume Vallanta come nasce un rifugio, edito dal Cai Monviso Saluzzo. “L’asse principale è segnato dall’ingresso, dalla scala interna ed esterna e, sul tetto, dalla presenza di due abbaini corrispondenti ai due piani dei letti”. La luce elettrica è garantita dal lago, e anche il riscaldamento che (a volte) funziona anche in inverno quando è aperto solo il locale invernale. Ma dipende dalle annate e da quanto ghiaccio ricopre il lago. Con i tempi che corrono bisogna anche valutare quanta acqua è presente nel lago, soprattutto in estate. Quella appena trascorsa arriva dopo un inverno magro di precipitazioni, e già a giugno lo specchio della Bealera Founsa si presentava sotto la tacca dei tre metri. Il risultato è la continua ricerca di modi per risparmiare acqua, rinunciando a qualche doccia, per evitare una chiusura anticipata, come è successo nella stagione 2021 al rifugio Quintino Sella al Monviso, sotto la parete est della montagna, costretto a chiudere a causa del livello dell’acqua del suo lago, troppo basso per poter alimentare la centralina e garantire i servizi di base.

Purtroppo, la cifra di queste estati è la siccità, che se provoca disagi in tutto il Paese, incide anche sui rifugi di montagna di moderna concezione, come il Vallanta. Dove forse dovremo rinunciare alle comodità dell’epoca contemporanea per riscoprire quell’essenzialità dell’andare in montagna che era di casa nel vecchio Gagliardone.

Altri approfondimenti sul numero 118 di Meridiani Montagne “Monviso, Valle Varaita e Valle Po”.

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