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“A livello glaciologico, abbiamo oltrepassato il punto di equilibrio e superato la storia”. Intervista a Marta Chiarle

Conoscere il passato ci aiuta a interpretare il presente ma, da un punto di vista glaciologico, abbiamo oltrepassato il punto di equilibrio e abbiamo superato la storiaMarta Chiarle è coordinatrice del Comitato Glaciologico Italiano (CGI) per il Piemonte e la Valle d’Aosta, oltre a essere geologa presso l’Istituto di Ricerca Protezione Idrogeologica del CNR. Concretamente, per il CGI organizza il lavoro dei volontari che tutti gli anni raggiungono i ghiacciai del nord ovest per effettuare rilievi e monitoraggi sul loro stato di salute raccogliendo documentazione, fotografie e misure che confluiscono nell’annuale Campagna glaciologica realizzata con continuità dal 1927. L’istituto, che è stato fondato dal Club Alpino Italiano nel lontano 1895 espressamente con lo scopo dello “studio dei movimenti dei ghiacciai”, è il depositario di un patrimonio scientifico di inestimabile valore oltre ad aver costruito negli anni una rete di esperti e volontari preparati che si sono già messi a disposizione per affrontare il “dopo Marmolada”.

Dottoressa Chiarle, il crollo dei seracchi non è un fenomeno nuovo: lo scorso maggio si era già verificato un incidente di questo tipo che ha provocato la morte di due alpinisti sul Grand Combin

In ambito alpino il maggior numero di vittime per il crollo di un seracco si è registrato nell’agosto del 1965 in Svizzera quando una porzione del ghiacciaio di Allalin precipitò sul cantiere di costruzione della diga di Mattmark provocando la morte di 88 persone. In Italia, l’incidente più grave prima della Marmolada, si era verificato sul ghiacciaio delle Grandes Jorasses con 8 alpinisti travolti da un seracco nell’estate del 1993. Ma le proporzioni di quanto accaduto alla Marmolada fanno pensare ai grandi eventi, come il crollo del Ghiacciaio di Coolidge dalla nord del Monviso avvenuto il 6 luglio 1989 e di un’ampia porzione del Ghiacciaio del Belvedere dalla parete est del Monte Rosa nell’agosto del 2005. Questi due casi si verificarono di notte e non registrarono vittime perché in entrambi i casi, i detriti raggiunsero aree dove in giornate normali avrebbero potuto coinvolgere centinaia di escursionisti.

Qual è lo scenario nuovo che ci presenta l’evento della Marmolada?

È ancora presto per avanzare ipotesi attendibili. In questo momento la macchina dei soccorsi ha la precedenza, poi si aprirà una fase di studio per cercare le cause del crollo e, soprattutto, per capire se si erano verificati eventuali segnali premonitori che in futuro potranno aiutarci a scongiurare altre tragedie analoghe. Certamente, però, quel distacco è avvenuto in un punto che non era generalmente ritenuto a rischio e ci deve insegnare che il riscaldamento climatico ha rotto gli equilibri della criosfera – ghiacciai e permafrost che letteralmente tengono insieme le montagne – scatenando processi repentini e spesso violenti che porteranno a un nuovo assetto. Ho affermato che abbiamo superato la storia perché ci troviamo di fronte a cambiamenti di cui l’umanità non conserva memoria, di cui non si trova traccia nemmeno nei periodi in cui si registravano condizioni climatiche miti sulla terra.

È possibile avviare un’attività di prevenzione per evitare che si ripetano tragedie di questo tipo?

Esistono già attività di monitoraggio estremamente puntuali e precise laddove i ghiacciai minacciano aree antropizzate o grandi infrastrutture. Mi riferisco per esempio al Ghiacciaio di Planpincieux in Valle d’Aosta, dove i movimenti del seracco vengono misurati con la precisione del centimetro. Tuttavia è un tipo di lavoro che non potrebbe essere esteso a tutti i ghiacciai delle Alpi. Proprio in queste ore Claudio Smiraglia, mio collega al CGI, ha lanciato un appello che condivido. Occorre costruire una nuova metodologia di studio dei ghiacciai, anche – e soprattutto – a partire dai risultati delle indagini su quanto accaduto alla Marmolada, per individuare gli indizi e i segnali che potranno condurre a nuovi crolli in quei ghiacciai frequentati dalle persone o nelle vicinanze delle attività umane. Dobbiamo immaginare un’attività di sorveglianza a bassa intensità, che coinvolga studiosi e volontari del CGI, partendo dai monitoraggi effettuati nelle varie campagne glaciologiche, ma anche altre figure appositamente formate e in grado di individuare la comparsa di crepacci sospetti o la presenza di pericolosi accumuli d’acqua.

Vietare la frequentazione dei ghiacciai può essere una soluzione?

In situazioni circoscritte quando si individuano rischi concreti, ovviamente sì. Ma in generale, chi frequenta la montagna sa che lo fa a proprio rischio e pericolo. Anche tra gli appassionati, tuttavia, si dovrà diffondere una nuova attenzione e una nuova cultura su questi temi perché i cambiamenti ci impongono di modificare le nostre abitudini e di acquisire una nuova consapevolezza. Senza dimenticare che certi percorsi e certi ghiacciai vedono una frequentazione così elevata da richiedere attività di monitoraggio più specifiche a scopo preventivo per evitare nuove tragedie.

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