In questi giorni è tornata a farsi viva una discussione che tiene banco da oramai diversi anni: i turisti in quota, a volte sui ghiacciai, in ciabatte da spiaggia.

Quest’anno a sollevare la questione sono stati due quotidiani, L’Alto Adige e L’Adige, denunciando di come frotte di persone in questi caldi weekend salgano a 3000 metri sul Presena grazie all’impianto che dal parcheggio del Passo del Tonale li deposita senza fatica alcuna a un invidiabile balcone panoramico che allarga lo sguardo sulle vette circostanti. Tutto bene e come da programma, verrebbe da dire. Del resto, pare evidente che l’operazione di aprire all’arrivo della cabinovia del Presena il rifugio Panorama 3000 Glacier, una struttura di vetro e acciaio che si vende sul sito con il claim “design e glamour a 3000 metri”, puntasse ad attirare non alpinisti o escursionisti in scarponi, ma piuttosto turisti volenterosi di bersi un bicchiere di bollicine (lo sponsor della struttura è la Cantina Ferrari), mangiarsi “ottimi stuzzichini” offerti dalla cucina gourmet e scattarsi un selfie con dietro le montagne da postare su Instagram per dire agli amici di aver toccato l’aria sottile dei 3000 metri. Non una novità, è un’offerta turistica che viene fatta anche in altri luoghi, basti pensare alla cabinovia dell’Aiguille du Midi con partenza da Chamonix o la Skyway che porta a Punta Helbronner (3462m) da Courmayeur.
Il vero problema è che sul Presena si sta riproponendo quello che è già successo sul Monte Bianco versante italiano: i turisti sbarcano in quota in abiti civili, infradito incluse, ma non stanno confinati nell’oasi sicura dell’arrivo dell’impianto ad ammirare dalle terrazze panoramiche le cime innevate, ma escono dal recinto e si avventurano improvvidi, spesso e volentieri inconsapevoli dell’ambiente che li circonda e dei pericoli a cui si espongono. E così negli anni abbiamo stupefatti osservato personaggi in sandali camminare tra i crepacci nei pressi del Rifugio Torino e oggi tra le lingue di neve del Presena (non succede all’Aiguille du Midi solo perché l’unico modo per scendere sul ghiacciaio è affrontare una ripida e per i più spaventevole cresta innevata).
Fortunatamente ai 3000 metri del Presena il ghiacciaio oggi è in fase di copertura con i teli geotessili e quindi fin lì non ci si spinge e gli avventurosi sciabattatori vagano tra le desolanti pietraie orfane della copertura nevosa a causa del caldo e della siccità e i potenziali pericoli non sono mortali come i crepacci, ma limitati a cadute, pietre sugli alluci e infortuni simili.
Premesso quindi che l’obiettivo dei servizi di un impianto/rifugio di questo tipo è portare in quota i turisti, che il reale problema è quando questi si allontanano dal rifugio e dagli immediati dintorni e che fintanto la loro permanenza rimane in quel contesto un abbigliamento cittadino, infradito incluse, non è improvvido, bisogna capire cosa si potrebbe fare per evitare incidenti dettati dall’ignoranza dell’ambiente montano.
Una soluzione potrebbe essere osservare cosa hanno fatto i colleghi sul ghiacciaio del Gigante, dove si è optato per una massiccia campagna di comunicazione affidata ad annunci fin dall’accesso della Skyway, a cartelli ovunque dentro e fuori alle stazioni, recinzioni con dissuasivi avvertimenti. Un ottimo lavoro da parte di tutti gli operatori (Skyway, Rifugio Torino, guide alpine, ecc.) per divulgare consapevolezza dell’alta montagna e che probabilmente ha anche funzionato, dato che non si hanno avuto più notizie di nuovi episodi.
Copiare il modello Monte Bianco sul Presena pare fattibile e non complesso. Lamentarsi che la montagna è diventata come Rimini è oggi purtroppo un po’ tardivo, bisognava farlo prima che certi impianti venissero costruiti. Continuiamo invece a fare informazione su come affrontare l’ambiente montano in modo sicuro e a diffondere la cultura della montagna. Non perdiamo la speranza.