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Il valore dell’onestà nell’alpinismo, la riflessione di David Gottler

Tornato al campo base dell’Everest, dopo aver raggiunto la cima del Tetto del Mondo, David Gottler ha voluto condividere un pensiero molto interessante sull’alpinismo e lo stile con cui lo si pratica.

Una discussione che è già affrontata da altri alpinisti molte volte, di recente accennata anche da Gnaro Mondinelli in una nostra intervista, ma che negli ultimi tempi è diventata forse meno sentita da parte degli appassionati che seguono le imprese sugli 8000. Anni fa era proprio lo spettatore di queste salite a domandare a chi le realizzava e a noi cronisti della montagna come fossero state fatte, in che modalità, quali fossero le “regole d’ingaggio”. E seppur consapevoli che l’alpinismo non è uno sport fatto di gare e classifiche (sebbene ogni giorno siamo bombardati da primati e record di ogni genere), le scalate venivano percepite in modo diverso in base a come erano state effettuate: una salita con ossigeno supplementare non era messa sullo stesso piano rispetto a una salita senza; una scalata all’interno di una spedizione commerciale con supporto di guide sherpa non aveva la stessa importanza di quella realizzata in stile alpino; e così via. Poi, forse perché le spedizioni commerciali sono diventate la prassi e la quasi totalità degli scalatori usa le bombole di ossigeno, rispetto alle poche mosche bianche che adottano altri stili e modalità, ci si è assuefatti a questa nuova normalità e quasi nessuno ci fa più caso e chiede conto. E questo ha fatto prolificare atteggiamenti ondivaghi, nebulosi, di detto e non detto da parte di alcuni alpinisti una volta tornati al campo base.

L’onestà è un valore fondamentale nell’alpinismo sin dal suo inizio, ma oggi sta rapidamente diventando quello che viene più trascurato. Quelli di noi che scalano le montagne, in particolare questi giganti himalayani, sanno esattamente cosa rende le cose più facili e quali sono le piccole sfumature che fanno un’enorme differenza in termini di difficoltà, fatica, possibilità di successo e persino sopravvivenza” sono le parole con cui esordisce Gottler dopo essere riuscito a raggiungere la vetta dell’Everest al suo terzo tentativo. Un successo ottenuto senza supporto sherpa e uso di ossigeno supplementare.

Non voglio sembrare pedante, ma al giorno d’oggi raggiungere la cima di 8000 potrebbe significare qualsiasi cosa: usare 8 litri di ossigeno al minuto da campo 2, ricevere assistenza con l’elicottero, andare da solo esclusivamente con quello che si riesce a portare in autonomia” scrive David. “Io Vorrei incoraggiare la nostra comunità ad abbracciare l’onestà e la trasparenza. Non fraintendetemi: non si tratta di giudicare lo stile o l’etica. Ognuno è libero di scegliere di arrampicare come desidera e dovrebbe essere orgoglioso di ciò che realizza. Si tratta di essere onesti e di presentare chiaramente le scelte che si ha fatto” conclude il tedesco, che per questo motivo ha deciso si raccontare la sua salita.

La scalata di Gottler

Voglio essere trasparente su come ho fatto le cose durante la mia scalata” continua lo scalatore tedesco, spiegando di avere utilizzato le corde fisse posizionate in alto dalle squadre di Seven Summit a inizio stagione. “Queste corde fisse non solo garantiscono di non perdere la via se arrivano le nuvole, ma rendono la discesa molto più sicura quando si è sfiniti e si sta lottando per andare avanti. Ho usato le scale e le corde fisse attraverso la cascata di ghiaccio. Grazie a SPCC e ai medici delle cascate di ghiaccio per questo fantastico lavoro. È sbalorditivo” ha poi aggiunto.

Gottler prosegue raccontando si avere utilizzato anche una piazzola di una tenda abbandonata a campo 3 (“avevo creato la mia piazzola durante la rotazione di acclimatamento, ma mi è sembrato sciocco usarla quando proprio accanto ce n’era una grande deluxe vuota”), mentre nei campi 2 e 3 è stato autonomo in tal senso. “Infine, al campo 4 ho incontrato l’alpinista Robert Kelso Smith e lui mi ha dato una manciata di orsetto gommosi Heribo. A parte questo, ho raccolto tutta la mia neve e ghiaccio e l’ho sciolto per fare acqua da bere e ho portato il mio cibo”.

Forse la precisazione (scherzosa) sugli orsetti gommosi è un po’ troppo, ma il punto è quello di essere chiari su quello che si realizza, sul come si realizza. Sta poi alla sensibilità di ognuno valutare e in caso seguire solo ciò che si reputa più “etico”. E David Gottler ha certamente ragione: bisognerebbe recuperare il valore dell’onestà nell’alpinismo.

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