Meridiani Montagne

Provenza, Calanques e Verdon protagoniste del nuovo numero di Meridiani Montagne

È in edicola la nuova monografia di Meridiani Montagne “Provenza Calanques e Verdon”. Un viaggio nel vicino Sud della Francia alla scoperta di due delle mecche dell’arrampicata europea: le Gole del Verdon, dove l’avventura scorre tra l’acqua e il calcare, e gli incantevoli fiordi delle Calanques sulle cui bianche pareti a strapiombo sul mare si sono formati i grandi dell’alpinismo.

E poi la via della lavanda da percorrere in bici o a piedi tra grandi paesaggi che nel periodo della fioritura si tingono di lilla; St. Victoire, la montagna dipinta per 86 volte in 36 anni da Cézanne; e il Mont Ventoux, la più alta vetta della Provenza, sogno e incubo di ogni ciclista tra cui Pantani, sorpresa per i camminatori più raffinati e a cui Petrarca ha dedicato una sua lirica, giurando di esserci salito in cima in una notte di luna piena, a costo di immani sofferenze.

Insieme alla monografia sarà presente in edicola anche il libro fotografico “Grido di pietra. Campanili, torri e monoliti dal Brenta alle Giulie” a un prezzo di 6 euro oltre a quello della rivista.

A presentarci il numero 116 di Meridiani Montagne “Provenza Calanques e Verdon” il direttore Paolo Paci.

Parola al direttore

La copertina del numero

È davvero speciale il numero di Meridiani Montagne giunto ora in edicola. Strano perché non parla propriamente di montagne, né di vallate, ma di coste marine, altopiani, canyon, falesie perse in immensi boschi di faggio. La Provenza è una terra bassa (la quota massima che tocchiamo sono i 1909 metri del Mont Ventoux), ma ad altissimo tasso alpinistico. E dunque qui, nella stagione migliore, abbiamo immaginato un triangolo magico, ai cui vertici ci sono i luoghi più belli per camminare, scalare, contemplare la natura e perdersi in panorami infiniti: Calanques, Verdon, Luberon.

Nelle Calanques abbiamo inviato Gian Luca Gasca, con il fotografo Umberto Isman: una coppia davvero affidabile, che per noi ha ripercorso l’intero trekking tra i fiordi da Marsiglia a Cassis, e si è arrampicata tra le guglie di calcare bianco, che sullo sfondo del Mediterraneo creano una scenografia mozzafiato. Ecco come la descrive Gian Luca: “Sulle falesie delle Calanques si sono mossi i migliori del secondo dopoguerra, come il prolifico Georges Livanos, che giovanissimo inizia a esplorare questo mondo. Lo batte letteralmente a tappeto, scalando ogni linea possibile con le tecniche degli anni Quaranta. Centinaia le vie aperte, alcune dimenticate, altre rimaste nella memoria e frequentate come grandi classiche. In cordata con Gaston Rébuffat ha tracciato ‘il sesto grado più lungo delle Calanques’, la mitica La Centrale sulla roccia della Grande Candelle. Una fiamma che si alza a bucare il cielo, inconfondibile. La si raggiunge facilmente lungo la Grande Randonnée e su dei bei lastroni in pietra ci si può sedere a godere dell’elegante spettacolo degli scalatori in parete. I loro colori vivaci spiccano contro la roccia chiara e quando si muovono sul filo di cresta con il contrasto del mare sullo sfondo lo scenario diventa ancora più suggestivo”.

In Verdon invece si sono mossi Giulia Castelli e Mario Verin, coppia inossidabile in montagna e nella vita. Per Montagne hanno camminato sul fondo del canyon e sul ciglio dell’altopiano, per documentare la bellezza del fiume, i villaggi antichi e soprattutto quel mondo fantastico di falesie “verdoniane” su cui si è sviluppata oltre mezzo secolo fa la storia dell’arrampicata moderna. Un alpinismo “alla rovescia”, come lo definisce Giulia: “Siamo in Provenza, terra di sole, mare e lavanda, e fa strano parlare di alpinismo dato che qui la morfologia dei monti è alla rovescia: per scalare bisogna calarsi invece che salire. Un lancio nel vuoto, una vera sfida alle vertigini, cominciata con dei ‘pazzi’ venuti da Marsiglia e perfino da Parigi, magri e muscolosi come ragni. Mezzi nudi, ma quel poco che avevano addosso era colorato e tintinnante di moschettoni legati alla vita. Erano gli anni Sessanta del secolo scorso. Loro gettavano le corde doppie nell’abisso, senza vederne la fine, facendosi la sicura direttamente sulle barre metalliche del guardrail lungo la Route de Crête, la strada che da La Palud raggiunge il labbro della gola. All’epoca, ma direi ancora oggi, questo salto nel vuoto rovesciava completamente il concetto di arrampicata (non ancora sportiva) mettendo alla prova la psiche dei più forti rocciatori, perché una volta scesi bisognava pur risalire!”.

Nel Luberon, infine, troviamo il luogo in cui l’arte dell’arrampicata si è spinta alle massime difficoltà. Come ci racconta l’amico Mario Giacherio: “Profondi cambiamenti hanno inizio nell’80 con le prime chiodature a spit, piazzati calandosi dall’alto con martello e percussore: Jeanne Pierre Bouvier libera l’ultima lunghezza del Pilier des Fourmis 7a, Jean-Claude Droyer il terzo tiro di Gougosse 7a+ e Jacky Godoffe annuncia il 7c per la Rut. Ma è il ‘l’angelo biondo’ Patrick Edlinger a dettar legge con il primo 8a, Viol de Corbeau (rigradato poi nel tempo a 7b+). Buoux diventa un faro per tutti gli arrampicatori, amplificato dalla stampa di settore con le strabilianti fot0 della ‘più bella falesia del mondo’ e l’esplosione mediatica del film La vie aux bouts des doigts di Jean-Paul Janssen”.

Tra una falesia e l’altra, su questo numero di Montagne trovate le grandi escursioni a piedi e in bicicletta sul mitico Mont Ventoux, la cima del Petrarca e di Pantani, sulla Montagne St. Victoire, ossessivamente ritratta da Paul Cézanne, e tra gli infiniti campi di lavanda, simbolo profumato della Provenza. Maggio e giugno sono i mesi della fioritura: approfittiamone!

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